"Il santo è un uomo"
Don Luigi Giussani, figura significativa e profetica della Chiesa cattolica del XX secolo, ha scritto: «Il santo è un uomo. Vi è una accezione della parola santità la quale si rifà ad una immagine di eccezionalità che una aureola esprime. Eppure il santo non è né un mestiere di pochi né un pezzo da museo. La santità va vista in ogni tempo come la stoffa della vita cristiana. Pur dentro la parzialità di certe immagini rimane la traccia di una idea fondamentalmente esatta: il santo non è un superuomo, il santo è un uomo vero. Il santo è un vero uomo perché aderisce a Dio e quindi all’ideale per cui è stato costruito il suo cuore, e di cui è costituito il suo destino»[1]. «Il santo è un uomo»; questa definizione è solo apparentemente sbrigativa e semplicistica. Un episodio raccontato dallo stesso don Giussani può aiutarci a intravvedere la profondità innovativa di simile impostazione e le sue implicazioni operative: «I primi mesi di Gioventù Studentesca [il movimento giovanile da cui sarebbe nata Comunione e Liberazione] mi hanno fatto fare una conferenza a trecento preti, e nel dibattito un giovane prete domandò: “Lei a un giovane prete cosa consiglierebbe innanzitutto, come prima cosa, a cosa consiglierebbe di stare attento, per fare il suo mestiere insomma”. Gli ho detto: “Guardi, che sia uomo”»[2].
La santità, dunque, è la realizzazione, il compimento dell’umanità di ogni singola persona. Chiamandosi «santi» i primi cristiani indicavano la loro separatezza, dovuta all’elezione di Dio, dalle logiche mondane; ma una separatezza che significa il compimento in Cristo delle aspirazioni umane, non una loro repressione o sublimazione. Basti pensare a come san Paolo ha approcciato gli smaliziati ascoltatori dell’Areopago di Atene: «Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere [cioè l’aspirazione suprema della vostra umana religiosità in ricerca], io ve lo annunzio»[3]. Si pensi, poi, a come il famoso retore Mario Vittorino ha annunciato pubblicamente la sua conversione: «Quando ho incontrato Cristo mi sono scoperto uomo»[4].
[1] Luigi Giussani, Alla ricerca del volto umano, Rizzoli, Milano 1995, p. 163.
[2] Luigi Giussani, Avvenimento di libertà, Marietti 1820, Genova 202, pp. 33-34.
[3] At 17, 22-23.
[4] Cfr. Mario Vittorino, «In Epistola ad Ephesios», Liber secundus, in Marii Victorini Opera exegetica, cap. 4, v. 14.
"Il santo è un farmaco perché è un antidoto. E per vero questo è il motivo per cui spesso il santo è un martire: viene scambiato per un veleno perché è un antidoto. In genere è uno che cerca di ricondurre il mondo alla ragione, mettendo in evidenza le cose che il mondo trascura, che non sono certamente sempre le medesime nelle varie epoche. Eppure ogni generazione cerca istintivamente il proprio santo e non si tratta di quello che la gente vuole, ma di quello di cui ha bisogno".
dall'intervento di Pigi Colognesi al Convegno internazionale promosso da Russia Cristiana che si svolge questo week end tra Milano e Seriate (Bg) dal titolo "Crisi dell'umano e desiderio di felicità. Che cosa ha da dire la Chiesa oggi?"
"Il santo è un farmaco perché è un antidoto. E per vero questo è il motivo per cui spesso il santo è un martire: viene scambiato per un veleno perché è un antidoto. In genere è uno che cerca di ricondurre il mondo alla ragione, mettendo in evidenza le cose che il mondo trascura, che non sono certamente sempre le medesime nelle varie epoche. Eppure ogni generazione cerca istintivamente il proprio santo e non si tratta di quello che la gente vuole, ma di quello di cui ha bisogno".
Gilbert Keith Chesterton, San Tommaso d'Aquino
dall'intervento di Pigi Colognesi al Convegno internazionale promosso da Russia Cristiana che si svolge questo week end tra Milano e Seriate (Bg) dal titolo "Crisi dell'umano e desiderio di felicità. Che cosa ha da dire la Chiesa oggi?"
dal sito La bussola quotidiana
la morte
di Lavrans
di Pigi Colognesi dal Il Sussidiario
di Pigi Colognesi dal Il Sussidiario
[...] Leggo come si sono preparati alla morte
certi santi o come la racconta Sigrid Undset in quell’imponente affresco del
medioevo nordico che è Kristin
figlia di Lavrans.
L’ultimo capitolo del quinto libro della prima
parte racconta proprio la morte del padre della protagonista ed è un crescendo
di commozione per la dignità dell’umano che vi si trova. Tutto è incredibilmente
semplice. Lavrans sa che «s’avvicina rapidamente il momento fatale», ma, pure
allettato, molte cose gli restano da fare: dare disposizioni per portare a
termine i lavori iniziati, sistemare l’eredità, preoccuparsi della salute dei
nipotini, scambiare con gli amici parole che sarebbero state ricordate come le
ultime loro rivolte, ascoltare le letture edificanti del vecchio parroco che
quotidianamente gli fa visita, raccomandarsi alle preghiere di tutti, chiedere
perdono a chi aveva offeso e offrilo a chi aveva offeso lui.
Poi arriva il momento: «Lavrans era
pienamente in sé: parlava con voce nitida seppure debole e come in procinto di
spegnersi. I famigli si accostavano al letto uno dopo l’altro; ad ognuno Lavrans
stringeva la mano ringraziando. Per ultimo si congedò dalla moglie. Si dissero
qualcosa che nessuno poté udire, poi si baciarono davanti a tutti».
Dopo un ultimo sussulto e dopo aver dichiarato con voce distinta la sua
fede nella resurrezione, Lavrans muore. Cosa posso augurarmi di meglio?
per
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http://www.ilsussidiario.net/News/Editoriale/2011/10/31/Simoncelli-e-Lavrans/print/217968/
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