Come è riduttivo definire solo «medioevo», “l’immensa folla di coloro che,
sotto lo sguardo di Dio hanno, per oltre un millennio, servito, in Occidente,
la causa del bene, del bello e del vero” (Léopold
Genicot).
Eugenio Corti sul Medioevo «è ora di smetterla di dipingerlo come un’età buia»
«Per Corti il Medioevo non è un tema, quanto un modello: è visto come categoria alla luce della quale la storia intera può essere interpretata. Non dimentichiamo che è il Medioevo è innanzitutto il tempo delle grandi cattedrali. E costruire cattedrali è anche quello che fa Corti, un’opera ardita, in continua evoluzione, imperitura».
L’aspetto affascinante di Eugenio Corti è che al posto della complessità, di fatto vuota, c’è un’immagine, semplice, ferma, riconoscibile. Che dà significato e dà verità a tutto il resto. E il lettore non può fare a meno di pensare: “Se è vera questa storia, ci sono dentro anch’io”».
«Ci sono dei punti fondamentali
che vorrei trasmettere ai ragazzi – ha dichiarato l’autore. Vorrei proporre
loro quest’epoca, perché credo che vi siano molti elementi di insegnamento».
«Manca oggi la dimensione
verticale, quella fatta di cielo e di abisso. La scrittura di Corti, invece,
canta i dolori e le gioie della terra tenendo sempre presenta la direzione
verticale, con tutti i pericoli che questo arrampicare comporta: prima fra
tutte, la complessità dell’essere semplici e al tempo stesso profondi».«Per Corti il Medioevo non è un tema, quanto un modello: è visto come categoria alla luce della quale la storia intera può essere interpretata. Non dimentichiamo che è il Medioevo è innanzitutto il tempo delle grandi cattedrali. E costruire cattedrali è anche quello che fa Corti, un’opera ardita, in continua evoluzione, imperitura».
L’aspetto affascinante di Eugenio Corti è che al posto della complessità, di fatto vuota, c’è un’immagine, semplice, ferma, riconoscibile. Che dà significato e dà verità a tutto il resto. E il lettore non può fare a meno di pensare: “Se è vera questa storia, ci sono dentro anch’io”».
"Mi sono chiesto perché l'unica
civiltà tecnologica e scientifica sia la nostra. Ho cercato di trovare le
ragioni, posso garantire che ci rifletto da parecchio tempo, e l'unica
spiegazione che ho trovato è la presenza del terriccio, dell'humus della
cristianità". (Leo Moulin).
«Noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere
più cose e più lontano di quanto vedessero questi ultimi; non perché la nostra
vista sia più acuta, o la nostra altezza ci avvantaggi, ma perché siamo
sostenuti e innalzati dalla statura dei giganti ai quali ci appoggiamo».
Intorno al 1120, Bernardo di Chartres amava così paragonare
davanti ai suoi allievi i propri contemporanei e i loro gloriosi predecessori
dell’età antica, epoca di giganti e santi.
Giacomo Biffi, già
arcivescovo di Bologna, che scrive tra l'altro:
«Bisogna che ci
decidiamo a renderci conto del cumulo di giudizi arbitrari, di deformazioni, di
vere e propri bugie che incombe su tutto ciò che è storicamente attinente alla
Chiesa. Siamo letteralmente assediati dai travisamenti e dalle menzogne: i
cattolici in larga parte non se ne avvedono, quando addirittura non rifiutano
di avvedersene...».
Léo Moulin, uno dei
più prestigiosi storici europei, laico, razionalista, "di un agnosticismo
che confina con l'ateismo":
«date retta a me,
vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda
anticristiana è l'essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici
soprattutto, una cattiva coscienza; a instillargli l'imbarazzo quando non la
vergogna per la loro storia. A furia di insistere, dalla Riforma sino ad oggi,
ce l'hanno fatta a convincersi di essere i responsabili di tutti o quasi i mali
del mondo. Vi hanno paralizzato nell'autocritica masochistica, per
neutralizzare la critica di ciò che ha preso il vostro posto».
Una citazione di Umberto Eco dalle pagine conclusive de Il nome della
rosa, allorquando Guglielmo di Baskerville contempla l'incendio della
biblioteca e della chiesa. Eccola.
“Temi i profeti e
coloro che sono disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire
moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro (...) Forse
il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la
verità, perché l'unica verità è imparare a liberarci dalla morbosa passione per
la verità”.
Marco Tangheroni, Il Medioevo in difesa della relatà storica
del medioevo
tratto dal la rivista Cristianità n. 34-35 (1978):
Dall’Umanesimo al Rinascimento, dal protestantesimo
all’illuminismo e oltre, fino ai nostri giorni, la storia dello sforzo rivoluzionario
teso a fare perdere ai cattolici la consapevolezza di avere un passato
“sociale” particolarmente glorioso. Fare dimenticare il Medioevo o falsificarlo è un
artificio per trasformare la civiltà cristiana da realtà storica – vissuta e quindi di nuovo
vivibile – in mito, e per convincere surrettiziamente che l’impegno per
restaurare una Cristianità è pura utopia.”È abolito l’insegnamento della
storia”. Questo esplicito e brutale provvedimento preso dalla repubblica
comunista ungherese di Béla Kun nel 1919, durante la sua breve e sanguinaria
esistenza, chiarisce bene l’assoluta necessità, per il processo rivoluzionario,
di recidere i legami della società e degli individui con il passato. Lo sforzo
ugualitario, che nasce dall’orgoglio – fonte primaria, con la sensualità, di
tutta la Rivoluzione (1)
-, persegue, animato da un odio metafisico per ogni disuguaglianza e da un
cosciente rifiuto di Dio creatore e, conseguentemente, della condizione di
creatura propria dell’uomo, la terribile utopia di cambiare la natura umana.
Occorre, per realizzare ciò, cancellare ogni forma di “memoria” sociale e individuale. E mentre già i teorici marxisti – e anche quelli più genericamente progressisti – sognano di cambiare perfino la memoria biologica dell’uomo, attraverso manipolazioni del patrimonio genetico (2), si lavora intanto, mediante la manipolazione del patrimonio culturale, alla cancellazione della memoria storica.
Occorre, per realizzare ciò, cancellare ogni forma di “memoria” sociale e individuale. E mentre già i teorici marxisti – e anche quelli più genericamente progressisti – sognano di cambiare perfino la memoria biologica dell’uomo, attraverso manipolazioni del patrimonio genetico (2), si lavora intanto, mediante la manipolazione del patrimonio culturale, alla cancellazione della memoria storica.
Qualcuno
potrebbe osservare che mi sono servito di un esempio tratto da una punta
estrema e isolata del processo rivoluzionario, mentre, in realtà, il
marxismo-leninismo, soprattutto nella sua versione italiana ispirata a Gramsci,
si presenta, anzi, proprio come storicismo. Rispondo che, a parte l’indubbia e
legittima utilità di vedere gli sbocchi estremi di certe tesi e posizioni per
meglio comprenderle, è proprio connaturale allo storicismo marxista, e anzi a
ogni storicismo, lo stravolgimento mutilante del passato.
Riservandomi
di svolgere dettagliatamente il discorso, basterà ora osservare che non è
necessario, per distruggere la vera memoria storica e degli individui e dei
corpi sociali, fare sempre e totale tabula rasa del passato. Sono sufficienti,
infatti, due tipi di operazioni: a) agire selettivamente sul passato: b) agire
su questo stesso passato in modo falsificante.
Per
ogni storicismo l’unica positività della storia è data dalle realtà che
sopravvivono nelle epoche successive; tutto il resto è negatività. Quando si
afferma che nel passato ciò che interessa è quanto fa ancora in qualche modo
parte del presente, si additano allo storico due compiti: in primo luogo
indicare nei secoli passati i primi germi embrionali delle radiose conquiste di
oggi e di domani; in secondo luogo indicare le resistenze, le inerzie, i tabù e
le superstizioni che ancora vincolano il presente e da cui occorre liberarsi
per realizzare il paradiso in terra. Questo, appunto, chiamo criterio di
selettività.
Quanto
alla falsificazione, essa è qualcosa di diverso e di più raffinato di semplici
alterazioni della verità storica (che in una certa misura, forse, i vincitori
hanno sempre fatto). Essa, infatti, è oggi legittimata e teorizzata, fondata
com’è sul concetto – storicistico – di senso della storia.
L’affermazione
secondo cui “la verità è sempre rivoluzionaria” va dunque intesa nel suo senso
profondo: soltanto ciò che è rivoluzionario, ossia nella linea del senso della
storia, può essere considerato vero. Ciò è, del resto, una esplicitazione
dell’hegeliano “tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale”
(3) .
Si
comprenderà, allora, che le manipolazioni del passato, da quelle più sfacciate
a quelle più sottili, da quelle organizzate dall’alto (secondo il modello
orwelliano del ministero della verità) a quelle più sottilmente indotte e
accettate dalla pavidità e dal conformismo degli intellettuali anche
non-marxisti, hanno un loro fondamento nelle varie gamme di un modo, al fondo
unitario, di concepire il mondo, l’uomo, la storia. Se, per esempio, a ogni
edizione l’Enciclopedia Sovietica cambia o sopprime le vecchie voci e ne
presenta di nuove (4), ciò non è opera arbitraria di una cricca che ha “tradito
la rivoluzione”, giacché per i marxisti-leninisti il passato non è qualcosa di
dato, di avvenuto in modo stabile e irrevocabile (tanto che nemmeno Dio può
fare sì che ciò che è accaduto cambi o non sia accaduto), ma è qualcosa di
mutevole e di mutabile in rapporto al dinamismo storico e alle esigenze, a esso
legate, della Rivoluzione. Gli uomini vogliono essere creatori del proprio
passato, oltre che di se stessi; e per essi, ovviamente, decide l’avanguardia
della Storia e della Rivoluzione, la direzione del partito comunista.
”Cancelliamo
il Medioevo”
Il
lettore vedrà, nei cenni di storia del concetto di Medioevo che seguiranno,
quanto abbiano agito i metodi sopraindicati. Qui voglio sottolineare altre due
forme di cancellazione della memoria storica: il voluto silenzio e la
deformazione linguistica.
Per
quanto riguarda il primo aspetto si può partire della osservazione
–apparentemente contraddittoria – che la storiografia ha realizzato negli
ultimi decenni, grazie soprattutto a storici tedeschi e francesi, progressi
effettivi nella conoscenza di quei secoli che vengono compresi abitualmente nel
concetto di Medioevo. Progressi, si badi bene, non solo dovuti a
perfezionamenti tecnici o a nuovi ritrovamenti eruditi, ma caratterizzati
talora da una più adeguata comprensione delle forme di vita e delle mentalità,
anche se sovente ricoperti da una patina di concessioni ai luoghi comuni. E
vero pure che rari sono gli storici italiani che hanno recepito, nella
sostanza, queste nuove acquisizioni; così come non è raro, invece, che in
Italia gli editori preferiscano tradurre insulse, e a volte risibili, opere di
storici sovietici. Ma il fatto, comunque, resta.
Accanto
a questa considerazione, però, ne va purtroppo subito fatta un’altra:
pochissimo di questa storiografia (confinata appunto in testi di non facile
accesso e, a volte, dal soverchio e sospetto “esoterismo” accademico) si
diffonde nell’opinione pubblica, anche in quella cosiddetta colta. Sarebbe
interessante una ricerca sui “Medioevo” di certe riviste di divulgazione
pseudo-storica e sulla presentazione che del Medioevo è data dagli spettacoli
cinematografici e dai mezzi di comunicazione di massa in genere. I luoghi
comuni vengono ripresentati con indifferente, anzi più insistente ostinazione.
Ma
ancora più grave è quanto sta accadendo nella scuola, in cui, se già i
programmi della idealistica riforma Gentile facevano poco e poco favorevole
posto a quei secoli, lo studio del Medioevo ha, nella prassi quasi generale,
poco, pochissimo spazio e tempo. Quando non lo si salti a pié pari, ciò che
accade sempre più spesso, ci si limita a ripetere qualche luogo comune in
attesa di diffondersi sul come l’arte rinascimentale venga a riscattare la
barbarie precedente; la filosofia rinascimentale cancelli l’arida e oscura
scolastica; la politica si sganci (finalmente!), con Machiavelli, dalla morale;
e alle realtà universali (Papato e impero) subentrino le nuove realtà delle
monarchie nazionali avviate a un parzialmente accettabile assolutismo
illuminato. Del resto, di grazia, cosa mai potrebbero dire sul Medioevo
insegnanti di lettere che ormai, nei loro blandi studi universitari, molto di
rado affrontano un esame di tema medioevale e che di quel periodo ignorano del
tutto la lingua?
Osservazioni
spicciole? Certo, ma è anche con operazioni di questo tipo che si realizza la
congiura del silenzio. E questa congiura del silenzio è condizione necessaria
per il. mantenimento di un terrorismo linguistico evidente, nelle sue
conseguenze, anche nel parlare quotidiano. Tutto ciò che è brutto, crudele, da
condannare, viene correntemente definito con l’aggettivo “medioevale “. Chi
conosce l’importanza della battaglia del linguaggio e l’importanza dei successi
conseguiti in essa dalla Rivoluzione (5), intende l’intento esorcistico di
questo uso linguistico, al quale occorre pertanto reagire con impegno e
decisione.
Di
più: una operazione dai risultati analoghi si svolse addirittura fin da quando
fu coniato il termine stesso di Medioevo. Età Media, si disse, tra due epoche
considerate molto positivamente: la classicità e il Rinascimento; puro scorrere
di secoli, quindi, privi di una propria caratterizzazione positiva, pausa nel
luminoso cammino del progresso storico, ricaduta nella barbarie e nella
inciviltà. Così, mentre termini come Rinascimento o illuminismo, si pongono
come già semanticamente caratterizzati (nuova vita, luce sul mondo), la
coniazione stessa del termine Medioevo, puramente cronologico, sembra
contribuire alla operazione di silenzio e di deformazione.
Alla
luce delle considerazioni accennate, risulta così comprensibile la scritta, in
inchiostro rosso, apparsa alla Sorbona nel 1968: “cancelliamo il Medioevo”.Certo,
probabilmente essa significava, per gli estensori, innanzitutto: cancelliamo
quei residui di Medioevo che sono ancora presenti oggi (cioè quei residui di
civiltà cristiana la cui difesa deve costituire uno dei più urgenti compiti del
contro-rivoluzionario). Ma per raggiungere l’obiettivo (quale che fosse la
consapevolezza degli estensori) occorre proprio cancellare la memoria del
Medioevo.
Medioevo
o civiltà cristiana?
Ma
perché quest’odio per il Medioevo? Proprio la sostituzione linguista di un termine
apparentemente neutro a quello che si dovrebbe usare, ci fornisce la chiave
della risposta. In realtà, ben più che di Medioevo, bisognerebbe parlare di
civiltà cristiana o di Cristianità (a seconda che si voglia sottolineare
maggiormente l’aspetto socio-culturale o quello politico-istituzionale).
Ora,
secondo la lucida analisi della Rivoluzione fatta dal prof. Plinio Corrêa de
Oliveira, la
Rivoluzioneper eccellenza è la distruzione dell’ordine per
eccellenza. La Cristianità
medioevale fu l’ordine alla cui distruzione ha lavorato per secoli la Rivoluzione ; e ancora
essa lavora per abbatterne quanto, tra le rovine, resta in piedi (magari anche
solo come latente possibilità di salvezza sociale). Ciò, si badi, non per un
caso, come sarebbe se la
Rivoluzione avesse fortuitamente incontrato sul suo cammino
un ordine cristiano; non con uguale odio, infatti, avrebbe perseguitato un
qualsiasi altro ordine.
Cito
ancora Plinio Corrêa de Oliveira: “La Cristianità non è stata un ordine qualsiasi,
possibile come sarebbero possibili molti altri ordini. È stata la
realizzazione, nelle condizioni inerenti ai tempi e ai luoghi, dell’unico vero
ordine tra gli uomini, ossia della civiltà cristiana” (6) .
Questo
significa che non si può avere, nei confronti della Cristianità, né un
atteggiamento di indifferenza e neppure una vaga e superficiale simpatia
(propria di certo pseudo-tradizionalismo acattolico o anti-cattolico). Il modo
di porsi rispetto a essa è qualificante e determinante.
Aggiungo
anche, in attesa di ritornare sull’argomento, che ciò non significa che non
possano esserci, in mutate condizioni, nuove civiltà cristiane; chè, anzi,
proprio da tale prospettiva è animata, come da causa finale, la vera azione
contro-rivoluzionaria.
Ciò
è sempre stato presente al pensiero contro-rivoluzionario; di più: ciò è sempre
stato insegnato dal Magistero pontificio (7). Basti questo a sottolineare
l‘importanza di una comprensione non superficiale della civiltà cristiana, dei
suoi princìpi e dei suoi modelli e – per diametrum – l’utilità di uno sguardo
preliminare sulla genesi e sulla storia del concetto di Medioevo.
Medioevo
e Rinascimento
Alcuni
storici e studiosi di metodologia negano addirittura la liceità di ogni
periodizzazione storica: ogni partizione del fluire costante del tempo sarebbe
così un errore sviante, al più giustificato da necessità didattiche. È chiaro
che in questa prospettiva non ha senso parlare di Medioevo e Rinascimento, e la
storia del concetto di Medioevo diviene la storia di un vaneggiamento.
Ma
mi pare opportuno aggiungere che neppure il nostro discorso conserverebbe un
senso se si dovesse, idealisticamente, considerare la periodizzazione una
operazione tipica del ripensamento del passato da parte del soggetto, una
griglia (destinata a cambiare da individuo a individuo e da tempo a tempo e
quindi, in definitiva, arbitraria) da applicare a un passato informe o dalle
forme non conoscibili.
In
realtà il Medioevo fu un periodo unitario (e solo perciò unitariamente
ripensabile) nella sua essenza: il suo essere cristiano. Essenza: non puro dato
esterno, non semplice denominatore comune.
Il
Rinascimento rappresentò, rispetto a esso, una sostanziale rottura, come hanno
continuato a riconoscere storici filorinascimentali o marxisti, evidentemente
con segno valutativo opposto (8).
Argomento,
quello della decadenza del Medioevo (per corrosione e corruzione interna, non
per assalto di barbari o di turchi) e delle origini del mondo moderno, che qui
è solo accennato, per fare notare che quanti hanno creduto di indicare“rinascite”
medioevali – per quanto giustamente avversanti i luoghi comuni della ignoranza
e della barbarie di quei secoli e animati, talora, da buone intenzioni – hanno
di fatto contribuito ad annullare ogni specificità dell’epoca.
Detto
questo apparirà ben comprensibile il fatto che la genesi prima del concetto di
Medioevo si ritrovi proprio nel Rinascimento, che si pose, coscientemente, in
antitesi con i secoli precedenti. Anche se molti storici ritengono che le
espressioni ricorrenti negli autori dell’epoca – come, sin dal 1469, in Cusano, media
tempestas e media antiquitas (9) – non indichino ancora una precisa
temporizzazione, pure esse sono sintomi della consapevolezza di un cambiamento
e di un distacco, oltre ad avere avuto una influenza sulla successiva
canonizzazione linguistica e temporale del termine e del concetto.
Così,
ancora, vanno respinte interpretazioni troppo riduttive di questa
consapevolezza e di questa volontà di rottura con il passato. È vero che esse
si manifestano maggiormente in scrittori di cose d’arte o in artisti; ma anche
in quelle affermazioni troviamo un respiro più vasto che non un puro limitarsi
tecnico al campo dell’arte, essa stessa avviata sulla china di una sempre più
pericolosa cerebralizzazione. E come negare, del resto, lucidissima
consapevolezza a Machiavelli? E come non vedere i profondi legami che lo
vincolano al suo tempo? (10).
Medioevo
e pseudo-Riforma Protestante
Tuttavia,
è indubbio che proprio dai teologi e dagli storici protestanti venne un
decisivo incremento alla “leggenda nera” del Medioevo. Più, comunque, che le
fondate polemiche e le patenti menzogne – contro le quali fu assai ammirevole
ed efficace la reazione della storiografia cattolica della Contro-Riforma, in
particolare del cardinale Baronio -, è bene ricordare l’odio anticattolico,
proprio dal quale tali scrittori erano animati e da cui nasceva il loro
giudizio negativo sul Medioevo, epoca del trionfo della Chiesa e del Papato
romano, spesso identificato con l’Anticristo!
Accanto
ad alcune pagine di Lutero, si possono ricordare scritti specificatamente
storici di Melantone e di Sleidan. Ma particolarmente significativa ci appare
soprattutto l’opera di Kaspar Peucer, continuatore del Chronicon Carionis (11),
con la sua concezione dei tre “fatales periodi”: fino al 500 la vittoria della
verità sull’errore, dal 500 al 1000 la lotta tra l’uno e l’altra, dal 1000 al
1500 il trionfo dell’errore, cioè della teocrazia papale. Pur rimanendo
attaccato all’impero come istituzione tedesca, egli non può più intenderne il
significato universale, desacralizzandolo e contrapponendolo al Papato.
Così,
nel giudizio di Peucer, gli imperatori “cattivi” erano quelli che avevano
operato in armonia con la
Chiesa (i Carolingi, per esempio) ed i “buoni” quelli che avevano
invece voluto combatterla (per esempio, Federico II). Ma è interessante
rilevare che ai suoi stessi occhi l’epoca che la Riforma ha aperto non
poteva essere un’epoca di pace, bensì di gravi e insanabili conflitti. Nessun
insulto è risparmiato ai pontefici (chiamati “flagellum Dei”), alle istituzioni
(il giubileo definito “ludi saeculares”), agli ordini religiosi (in particolare
francescani e domenicani) e ai frutti culturali (il diritto canonico e la
scolastica).
Infine,
questa storiografia protestante sfocerà in una varia produzione manualistica,
apparentemente più asettica, ma pur sempre carica degli aspetti indicati come
propri dei precedenti autori protestanti. Tra queste opere celebre è rimasta la Historia medii aevi a
temporibus Constantini Magni ad Costantinopolim a Turcis captam di Cristoforo
Keller (12), comparsa nel 1688, per la definitiva introduzione del termine
Medioevo e la fissazione dei limiti cronologici più comunemente accettati.
Certamente–
e si possono qui recuperare le suggestioni dell’opera di Falco – la
storiografia protestante finì con l’avere non diciamo dei meriti, ma dei
risultati positivi. In primo luogo stimolò, come si è detto, una storiografia
contro-riformistica di notevole levatura. In secondo luogo contribuì a porre l’accento
sul carattere specifico del Medioevo: il suo essere cattolico. Così va, grazie
a Dio, il mondo: come dalle eresie e dagli errori si arricchì sempre più nei
secoli il venerabile patrimonio dogmatico e magisteriale della Chiesa
cattolica, così, in campo storico, dalle faziose, astiose, deformanti opere
degli scrittori protestanti sortirono pure conseguenze veritiere e positive.
Ma, ovviamente, ben altre furono le eredità accolte dalla storiografia
illuminista.
Medioevo
e Illuminismo
Essendo
lo scopo di queste nostre considerazioni l’esame della formazione del
“modello”di Medioevo proprio del pensiero rivoluzionario (ancorché – come
appena visto –ciò comporti inevitabilmente anche l’indicazione del rovescio
della medaglia), sarebbe fuori luogo soffermarci sulla cosiddetta storiografia
erudita della fine del Seicento e della prima metà del Settecento. Tuttavia
sarà bene ricordare che essa – con i suoi grandi meriti e con le sue opere
tuttora, spesso, praticamente indispensabili – appartiene quasi completamente
alla grande tradizione storiografica ecclesiastica (13). Si pensi ai padri
maurini, e in particolare a Mabillon, fondatore della diplomatica, disciplina
ausiliare della storia, necessaria per l’individuazione dell’autenticità dei
documenti; ai bollandisti, società di gesuiti specializzati nell’agiografia;
anche, per l’Italia, al Muratori, il quale, con tutte le sue esigenze – non
aliene da influssi giansenistici – di una religiosità più intima e razionale,
si riallaccia direttamente alla tradizione maurina per quel che riguarda il
metodo storico.
Di
queste nuove acquisizioni non sempre seppe o volle giovarsi la storiografia
illuministica, la quale fu animata da ben altri intenti, e, non provando per il
Medioevo altro che profonda avversione, non poté neppure tentare di comprendere
dall’interno, per così dire, quel periodo.
È
evidente, invece, in essa l’eredità delle polemiche rinascimentali e
protestanti, a riprova del legame di filiazione di questa nuova tappa del
processo rivoluzionario dalle due fondamentali tappe precedenti: il
Rinascimento, appunto, e la
Pseudo-Riforma .
Ben
noto, ed esemplare, in questo senso, è l’Essai sur les moeurs et l’ésprit des
nations di Voltaire (14), con il relativo supplemento. Che cosa è stato per lui
il Medioevo? Nove secoli di trionfo dell’opinione; un periodo in cui hanno
trionfato le superstizioni, insieme lugubri e ridicole, imposte dalla Chiesa,
colpevole d’avere allontanato l’Europa dai princìpi della ragione; una stasi
nel progresso umano, anzi un ritorno alla barbarie; un succedersi di
convulsioni e guerre senza senso, come le crociate.
Certo,
com’è stato messo in rilievo da altri (15), Voltaire è più benevolo con
determinate forze o personaggi. Ma sono pur sempre le forze o i personaggi (la
borghesia in via di laicizzazione o il solito Federico II) che gli sembrano
avere collaborato alla distruzione di quella odiata civiltà. Tutto ciò che è
cristiano gli appare insopportabile: della stessa Riforma protestante
misconosce la portata dissolutrice perché era rimasta, pur sempre, in qualche
modo, in ambito cristiano.
L’esemplificazione
degli errori e delle incomprensioni sarebbe agevole e ben lunga. Ma è del resto
evidente, da quanto si è detto, che l’odio per ogni tradizione, specie se
religiosa, e l’orgogliosa esaltazione razionalistica di una raison
illuministica, astratta e superba, ben diversa dalla retta ragione cara al
pensiero cristiano, non potevano fargli comprendere che ben poco dei secoli
cristiani. Lo stesso Falco, pur così teso a cogliere in ogni autore studiato le
tappe di un presunto costante progresso conoscitivo, così conclude il suo
dettagliato esame: Voltaire “è assolutamente negato a capire il Medioevo nelle
sue forze organiche:ordinatio ad unum, papato e impero, repubblica cristiana.
In base alla ragione, ai diritti della natura, egli condanna, senza riviverli
dall’interno, Chiesa, fede, miracoli, eresie, crociate, feudalesimo, in una
parola tutto il Medioevo” (16).
Ancora
più evidente lo schema appare nell’Esquisse d’un tableau des progrès de
l’ésprit humain di Condorcet (17), composto, poco prima del suo suicidio, nel
1794. La storia umana altro non sarebbe che la lotta degli uomini per
progredire ed elevarsi contro le resistenze della Tirannia (oppressione
religiosa e dispotismo militare). Alla fede in un progresso indefinitamente
perseguibile nel corso storico, tutta racchiusa in un orizzonte puramente
terreno, si contrappone, con deprecato successo, il cristianesimo, proteso
verso l’ultraterreno, nemico delle scienze, propagatore dell’impostura dei
miracoli, alimentatore di una puerile credulità.
Anche
in questo caso la chiarezza dei presupposti rende superflua una
esemplificazione che porrebbe esclusivamente l’imbarazzo della scelta. Ma anche
in questo caso giova ricordare come l’accento più spesso risuonante sia quello
anticattolico; egli infatti mostra verso Lutero un atteggiamento ben più
favorevole che non quello di Voltaire. La Chiesa di Roma “subdola, audace, impassibile,
arbitra della cultura, sorretta dall’ignoranza e dalla superstizione, sfrutta
l’una e l’altra a vantaggio del suo orgoglio e della sua vanità” (18). Erano,
gli anni in cui scriveva Condorcet, quelli in cui la Rivoluzione francese
perseguitava apertamente quella parte del clero rimasta fedele al Papa e alla
tradizione, e introduceva in Nôtre-Dame il sacrilego culto della dea Ragione.
Ma
la stessa componente anticattolica è possibile ritrovare anche nell’opera del
più celebrato degli storici illuministi, Edward Gibbon (19). Certo, egli ebbe
un senso storico che mancava pienamente agli illuministi francesi e una
informazione più seria e più vasta; inoltre egli si rese conto che nel crogiolo
dell’Alto Medioevo era nato un mondo nuovo, per cui, a volte, pare porsi
qualche problema.
Ma
a impedire una comprensione più profonda e anche a infirmare risultati
parziali– a portata di penna per il suo ingegno e la sua erudizione – sta,
appunto, la pregiudiziale anticattolica, che lo porta a vedere nella
religiosità e mentalità medioevali null’altro che superstizione, e nel papato la
fabbrica di questa superstizione. Si leggano, per esempio, le pagine sul
monachesimo: banali luoghi comuni e accuse che sarebbero parse, credo,
eccessive perfino a Celso!
Se,
dunque, anche l’intelletto naturaliter historicus di Gibbon poteva essere a tale
punto oscurato dai miti dell’orgoglio del secolo, è facile immaginare il
livello dei pamphlets, dei romanzi, degli articoli dell’Enciclopédie: di tutto
ciò che faceva opinione e preparava, nei salotti e nelle tipografie, sulle
scene e nelle logge massoniche, la grande esplosione rivoluzionaria dell’89.
In
particolare, possiamo vedere quasi l’incarnazione di questo lavorio nella
celebre notte del 4
agosto 17 89, allorché l’Assemblea Nazionale decretò, praticamente,
di sopprimere il passato (20). Lo scopo era analogo a quello della scritta
sessantottesca sopra ricordata: “cancellare il Medioevo”.
Conclusione
Arrestiamo
qui il nostro cammino. Alla fine del ’700 l’operazione rivoluzionaria intorno
al Medioevo può dirsi compiuta. In effetti essa ha raggiunto i suoi tre
obiettivi: dare della Cristianità una immagine falsa e negativa; diffondere
questa immagine fino a farne un quadro intoccabile e accettato; calare
nell’azione politica le idee e i sentimenti antimedioevali. Naturalmente, i
ritocchi al quadro furono poi numerosi – e interessante, non v’è dubbio, ne
sarebbe l’analisi -, ma l’essenziale c’è già.
D’altronde,
continuare a seguire il filo della storia della storiografia medioevale
richiederebbe un discorso ben più vario e articolato: non solo per la ricchezza
quantitativa dell’argomento, ma soprattutto per le sfumature e le articolazioni
cui il discorso non potrebbe rinunciare, pena una pericolosa ambiguità.
Occorrerebbe dire, cioè, degli spunti di rivalutazione propri del Romanticismo,
ma anche del piano sentimentale ed estetizzante al di sopra del quale quasi mai
essi seppero collocarsi; dei risultati conseguiti dalla erudizione
positivistica, ma anche dei suoi ristretti orizzonti; della netta chiusura
idealistica; delle diverse correnti, parzialmente vitali, della storiografia
odierna, del bene che vi si può trovare e della difficoltà di trovarvelo in
mezzo a luoghi comuni e a pregiudizi.
Oppure,
diversamente, si potrebbe mostrare come larga parte del mondo cattolico di
oggi, così imbevuto di “modernità”, abbia accolto, anche a proposito di
Medioevo, miti e pregiudizi protestanti e illuministici. Ma, purtroppo, tale
operazione può essere facilmente compiuta dal lettore: tra libri di storia e
libri di teologia, discorsi di vescovi e omelie domenicali, riviste e giornali
sedicenti cattolici, egli avrà soltanto l’imbarazzo della scelta.
Senza
dimenticare che la
Rivoluzione è un processo, con le sue tappe, le sue
metamorfosi, le sue variazioni di velocità, occorre anche ricordare che essa ha
radici sempre identiche. Cosicché il ripetersi di certi temi non può stupire.
Marco
Tangheroni
***
(1) Per queste categorie
interpretative è fondamentale lo studio di Plinio Corrêa de Oliveira,
Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza
1977.
(2) Per il sogno marxista di
modificare perfino le basi biologiche della natura umana cfr., a titolo di
esempio, questo brano, tratto da un autorevole marxista francese, Henry
Lefebvre: “La diseguaglianza biologica degli individui è un fatto
incontestabile [...]. In una società umana questi problemi saranno posti ed
esaminati per trovarne una pratica soluzione. L’uguaglianza sociale concreta
non abolirà le diseguaglianze naturali, ma [...] in seguito, bisognerà
impegnare la lotta contro l’elemento biologico per dirigerlo, per scoprire e
superare le necessità originate da eredità e fatalità geografiche, razziali,
ecc.” (H. Lefebvre, Il materialismo dialettico, trad. it., Einaudi, Torino
1975, p. 121).
(3) Il principio è, notoriamente,
fondamentale nella filosofia hegeliana: nella formulazione data esso si trova
nella prefazione alla Filosofia del Diritto.
(4) Vari esempi del fatto, del resto
assai noto, in R. Conquest, Il grande terrore, trad. it., Mondadori, Milano
1970.
(5) Su questo aspetto della tattica
rivoluzionaria si veda P. Corrêa de Oliveira, Trasbordo ideologico inavvertito
e dialogo, trad. it., Edizione de l’Alfiere, Napoli 1970.
(6) P. Corrêa de Oliveira,
Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 94.
(7) Basti qui citare il bel passo
dell’enciclica Immortale Dei di Leone XIII: “Fu già tempo che la filosofia del
Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello
spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei
costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato; quando la Religione di Gesù Cristo
posta solidamente in quell’onorevole grado, che le conveniva, traeva su
fiorente all’ombra del favore dei Principi e della dovuta protezione dei
magistrati; quando procedevano concordi il Sacerdozio e l’Impero, stretti
avventurosamente fra loro per amichevole reciprocanza di servigi. Ordinata in
tal guisa la società, recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei
quali dura e durerà la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici, che
niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare” (ASS, vol. XVIII, p. 169).
(8) Per un esempio di storico
idealista filorinascimentale cfr. F. Chabod, Studi sul Rinascimento, Einaudi,
Torino 1967. Per un’opera di orientamento marxista, R. Romano – A. Tenenti,
Alle origini del mondo moderno, Feltrinelli, Milano 1967.
(9) Cfr. R. Morghen, Il Medioevo
nella storiografia dell’età moderna, in Nuove questioni di storia medioevale,
Marzorati, Milano 1964, p. 1. Il saggio di Morghen, anche per la sua
bibliografia, può essere utilmente consultato per un primo approfondimento del
tema.
(10) Si veda, in proposito, il bel
saggio su Machiavelli, visto come espressione del Rinascimento, in M. De Corte,
Fenomenologia dell’autodistruttore, trad. it., Borla, Torino 1967.
(11) Cfr. su questi autori e in
generale sulla storia del concetto di Medioevo, il volume di G. Falco, La
polemica sul medioevo, Guida, Napoli 1977. L’opera di Falco, che dall’Umanesimo
giunge sino al primo Romanticismo, è meritatamente celebre, anche perché il suo
autore aveva una profonda consapevolezza dell’unità del Medioevo. Essa,
tuttavia, rivela una pericolosa influenza storicistica nello sforzo, detto in
parole semplici, di mostrare a ogni costo che anche il male non viene per
nuocere, e che dalla negatività delle incomprensioni sorte ne viene sempre un
progressivo irrobustimento e arricchimento del concetto del Medioevo.
(12) Cfr. G. Falco, op. cit., pp.
104 ss.
(13) Tale tradizione storiografica
si era aperta con Eusebio, che aveva dato vita nuova a un genere letterario
languente: esempio particolare di un fenomeno generale di superamento della
morente ed estenuata cultura pagana da parte della cultura cristiana; cfr. i
riconoscimenti alla storiografia cristiana da parte di A. Momigliano,
Storiografia pagana e storiografia cristiana nel secolo IV d.C., nel volume AA.
VV., Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, Einaudi, Torino
1975.
(14) Voltaire, Essai sur les moeurs et l’esprit des nations e Remarques
pour servir de supplément a l’”Essai sur les moeurs”, in Oeuvres complètes,
Parigi 1878.
(15) Per es. L. Gatto, Viaggio
attorno al concetto di Medio Evo, Bulzoni, Roma 1977, pp. 92-94. Questo
volumetto di Gatto, dagli intenti sintetici e didattici, contiene una
bibliografia aggiornata, e può perciò essere segnalato, a patto di tenere
presente la discontinuità dei giudizi.
(16) G. Falco, op. cit., p. 138.
(17) Ibid., cap. VII.
(18) Ibid., p. 145.
(19) E. Gibbon, Storia della
decadenza e caduta dell’impero romano, trad. it., Einaudi, Torino 1967.
(20) Dopo avere esposto l’andamento
della seduta del 4
agosto 17 89 e i suoi risultati, uno storico filorivoluzionario,
Mathiez, così commenta: “Questa grandiosa abiura del passato durò tutta la
notte: all’alba una novella Francia era nata” (A. Mathiez – G. Lefebvre, La Rivoluzione francese,
trad. it., Einaudi, Torino 1960, p. 75).
Régine Pernoud Luce del Medioevo
Medioevo
liberato dall'illuminismo
Sta
per essere pubblicata la nuova edizione di un "classico" di Régine
Pernoud curata da Marco Respinti. L'opera della medievista può configurarsi
come "l'anti-Nome della rosa" di Eco.
Due
anni fa, il 22 aprile del 1998, scompariva a Parigi, all'età di 89 anni, la
grande medioevista francese Régine Pernoud. Ora, torna finalmente in libreria
il suo Luce del Medioevo. Difficile
trovare titolo di libro così evocativo, diretto, significativo del contenuto,
"culturalmente scorretto" - per usare un'espressione in voga da
alcuni anni -, ma che all'epoca in cui uscì (quantomeno in Italia, nel 1978)
poteva ben esser definito "non conformista" e alternativo. Tutto è
infatti già contenuto in quell'accostamento fra due termini che gli stereotipi
vorrebbero invece in antitesi inconciliabile: "luce" e
"Medioevo", dato che notoriamente, come si insegna persino negli
asili nell'intero cosiddetto "Occidente", quella "di mezzo"
è stata solo un'età "oscura", "tenebrosa" e colma di
disperazione, di morti per fame e per peste, di biechi tiranni religiosi o
laici poco importa, i quali passavano il tempo a bruciare eretici e donne
(presunte streghe, in realtà proto-femministe secondo la vulgata decisa a
posteriori), ad ingozzarsi di cacciagione ed accumulare oro, ignoranti e
spregiatori del progresso della scienza, superstiziosi e creduloni. Ebbene, nel
1945 (!) in Francia, appare Lumière du Moyen Âge (come suona lo splendido
titolo originale) in cui una caparbia studiosa, Régine Pernoud, con un
linguaggio semplice, accessibile, con solide basi culturali e documentarie,
smonta uno per uno tutti i luoghi comuni, le "leggende nere",
incrostatesi nel corso degli ultimi secoli, su quei circa mille anni cruciali
per la storia dell'umanità. Così disprezzati da non esser neppure definiti e
aggettivati, come tutte le altre epoche (classicità greca, romanità, Umanesimo,
Rinascimento), ma solo in quanto "Evo di mezzo" appunto fra antichità
e modernità. Nel 1978 appare così in Italia - grazie alla disponibilità del
piccolo ma coraggioso e generoso editore Giovanni Volpe (certo memore del
rilievo che il padre, il grande storico Gioacchino, dava alle vicende
medievali), sollecitato in ciò da Giovanni cantoni - un'edizione tradotta da
Italo De Giorgi, con un'appassionata e approfondita presentazione dello
specialista Marco Tangheroni, docente di Storia medioevale nelle Università di
Sassari e di Pisa, nonché fecondo divulgatore di eventi storici. Oggi si
ripubblica grazie a un altro medio-piccolo editore (e vorrà pur dire qualcosa
quest'aspetto), Gribaudi, in una nuova edizione italiana accresciuta da una
prefazione di Luigi Negri - docente di Antropologia filosofica all'Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano - e da un'appendice in cui trovano spazio
due interviste italiane della Pernoud, originariamente comparse sul mensile
Cristianità, diretto da Cantoni, nel 1998 e nel 1993, nonché la presentazione
predisposta da Marco Tangheroni per l'edizione Volpe del 1978, che qui ha
l'ambizione di porsi quale valutazione del significato globale dell'intera
opera storiografica della storica francese. Le interviste riprese in questa
nuova edizione della prima e più importante opera della Pernoud (è lei stessa
ad affermarlo ed a buon diritto, se non altro perché tutto il suo corpus
successivo è stato un approfondimento, una specificazione e in qualche modo
pure una dimostrazione proprio di quel volume "pionieristico")
-interviste che, per argomenti, contenuti e stile, si pongono esattamente nella
medesima linea dei capitoli di cui si compone Luce del Medioevo -, vennero a
suo tempo realizzate, la prima da Massimo Introvigne, dal 1988 direttore a
Torino del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), e la seconda da Marco
Respinti, saggista, giornalista ed in specifico, studioso del pensiero conservatore
angloamericano. E proprio a cura di Respinti esce il nuovo Luce del Medioevo di
Gribaudi (che peraltro riproduce, con qualche ritocco, la "vecchia"
traduzione di De Giorgi), così come sempre per i tipi di Gribaudi, Respinti ha
tradotto e curato, nel 1999, Testimoni della luce, l'ultima opera - uscita
postuma e di carattere autobiografico - data alle stampe dalla medievista
francese.
Luce
del Medioevo verrà presentato ufficialmente al pubblico a Torino, in occasione
dell'annuale "Fiera del Libro" che si svolgerà dal 10 al 15 maggio.
Del successo che ebbe nel nostro Paese - relativo per numero di copie, ma
cruciale per l'influsso su giovani idealisti cattolici e di Destra, nonché su
cultori e docenti di Storia che ebbero finalmente a disposizione un testo
rigoroso per confutare lo sciocchezzaio antimedioevale che egemonizzava scuole
e università -, parliamo con il curatore Marco Respinti che per i nostri
lettori non necessita certo di presentazioni.
Luce
del Medioevo rappresentò un esempio positivo non solo di storiografia
accademica bensì di divulgazione "di massa" e specialmente in
ambienti studenteschi. Chi era giovanilmente insofferente ai testi imposti
nelle scuole, già pesantemente egemonizzati dalle vulgate gramsciane,
progressiste, positiviste e antireligiose, e per giunta scritti pure
"male", trovò nella Pernoud un'oasi di chiarezza, si appassionò al
suo argomentare ferrato ma scorrevole, serio e autorevole ma al contempo
ironico e polemico quando necessario (il "Dizionarietto del Medioevo
convenzionale" - che al termine del volume mette alla berlina un certo
"Medioevo di cartapesta" - è, sotto questo punto di vista, un vero
capolavoro)...
"Gli
scritti di questa grande medioevista - tutti, ma in particolare questa sua
opera prima - rappresentano uno degli esempi più belli e riusciti di quella
"alta divulgazione" di cui molti autori francesi - o comunque
francofoni - hanno fatto un'arte. Marco Tangheroni ha più volte pubblicamente
rilevato come un certo mondo accademico italiano non possa nemmeno tollerare il
suono di termini come "divulgazione" o di nomi quali "Régine
Pernoud". Ma si tratta solo di snobismo parvenu, tipico peraltro di chi,
impotente e incapace di fare altrettanto, sa solo replica con lo sdegno e
l'invettiva. Costa fatica, cioè, essere rigorosi e seri nel corso dell'indagine
e della ricostruzione scientifica, ivi compreso il necessario - e
necessariamente duro - apprendistato che serve a impadronirsi dei "ferri
del mestiere". Cosa fatica fare molta anticamera e magari non salire mai alle
luci della ribalta. Costa fatica sospendere il giudizio quando non si hanno a
disposizione elementi sufficienti a ben valutare. Costa fatica spiegare bene,
con terminologia appropriata, fantasia, capacità d'intuizione, immaginazione e
savoir faire a chi non è specialista. Costa fatica, e richiede coraggio e
umiltà. Mai - evangelicamente - la
Pernoud ha giudicato la propria profonda conoscenza della
storia un bene prezioso da custodire gelosamente. Le pagine autobiografiche che
ella ha consegnato alla memoria del futuro in opere quali Testimoni della luce
o, più diffusamente, Villa Paradis: souvenirs (a cura di Jérôme Pernoud, Stock,
Parigi 1992) documentano il coraggio e l'umiltà con cui questo vero e proprio
"topo di biblioteca" ha documentato non tanto gli
"splendori" quanto la realtà di un'epoca che ha tentato, molto
semplicemente, di fare una cosa sola: prendere sul serio la fede cristiana e
agire di conseguenza.
Régine
Pernoud è davvero una maestra, ma nel senso più specifico del termine: ha
insegnato un metodo, quello dell'aderenza totale alla realtà e - l'espressione
compare in Luce del Medioevo - alla verità delle cose. Molti suoi colleghi
medioevisti, pur blasonati dai nomi altisonanti, non sono capaci nemmeno di un
briciolo di questa sua disarmante - giacché umile e pura - forza di ricerca e
di comunicazione".
Fra
l'altro Lumière du Moyen Âge -- in francese forse destò ancor più scalpore
quell'accostamento ai "lumi" vero? --, si rivelò utilissimo, qualche
anno dopo, nel controbattere quella che mons. Luigi Giussani definì
"un'opera di propaganda anticristiana": il famigerato romanzo Il nome
della rosa di Umberto Eco e l'ancor più deleterio film che ne trasse il regista
Jean Jacques Annaud (forse neppure in URSS avrebbero fatto di peggio quanto a
falsità storiche, approssimazioni nella ricostruzione di avvenimenti, pensiero
e scenario medievali). È possibile definire l'opera della Pernoud
"l'anti-Nome della rosa"?
"Certamente.
E proprio per le ragioni che già ho cercato di evidenziare. Così come Il nome
della rosa è, se si vuole, un "prodotto di scuola", un
"manuale" che dietro l'artificio retorico della finzione romanzesca
enuncia e sviluppa tesi ben precise, il corpus della Pernoud -
gl'importantissimi studi sui santi, sulla condizione femminile, sulla nascita
della borghesia, su santa Giovanna d'Arco e così via - non ha... alcunché da
difendere... Ovvero, essa non è parto di un'idea preconcetta entro cui
l'Autrice cerca poi di costringere la realtà, artatamente nascondendola
quand'essa si mostrasse non pienamente rispondente allo schema astratto. In
questo, costituisce una grande lezioni di anti-illuminismo, laddove l'opera di
Eco - ma quella del semiologo è davvero forse la classica punta di un iceberg
che cela un intero modo di fare ricerca, letteratura e insegnamento - appare
proprio il frutto più maturo del philosophe da "società di pensiero".
Un'ideologia autoreferenziale che, a onta del reale, propone un'interpretazione
delle cose per tesi di cui è perso sin dal principio anche il gusto della
dimostrazione. Non debbono ammaestrare e forse nemmeno convincere: esigono solo
una sequela cieca. Nonostante i suoi paludamenti razionalistici da Shelock
Holmes del passato, l'Eco de "Il nome della rosa" è il vate della
nuova religione del (come sagacemente scriveva Eric Voegelin) "divieto di
fare domande". La sua è la controverità basata sulla menzogna e sulla
manipolazione della memoria storica prodotta dall'hybris dell'uomo moderno
emancipato e assoluto (ab solutus) che domina ampi settori della scienza, della
ricerca e dell'insegnamento. Sì, fra i due non ci potrebbe essere maggiore
inconciliabilità nel modo di porsi davanti alle cose, agli uomini e alla
realtà".
Pensi
che Luce del Medioevo possa esser utilizzato non solo nella battaglia delle
idee ma anche quale lettura consigliata e di supporto -- se non proprio come
libro di testo -- da adottare nelle scuole?
"
Non solo lo credo. Lo spero e lo auspico. E questa non è l'ultima delle ragioni
della sua riproposizione editoriale accresciuta italiana".
Leo Moulin: docente di Lettere e Filosofia presso l'università di Bruxelles
http://www.meetingrimini.org/default.asp?id=672&q=leo+moulin
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