"Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto."

"Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto."
Edward Hopper Sole del mattino

Medioevo e dintorni


Come è riduttivo definire solo «medioevo», “l’immensa folla di coloro che, sotto lo sguardo di Dio hanno, per oltre un millennio, servito, in Occidente, la causa del bene, del bello e del vero” (Léopold Genicot).

Eugenio Corti sul Medioevo «è ora di smetterla di dipingerlo come un’età buia»






«Ci sono dei punti fondamentali che vorrei trasmettere ai ragazzi – ha dichiarato l’autore. Vorrei proporre loro quest’epoca, perché credo che vi siano molti elementi di insegnamento».
«Manca oggi la dimensione verticale, quella fatta di cielo e di abisso. La scrittura di Corti, invece, canta i dolori e le gioie della terra tenendo sempre presenta la direzione verticale, con tutti i pericoli che questo arrampicare comporta: prima fra tutte, la complessità dell’essere semplici e al tempo stesso profondi».
«Per Corti il Medioevo non è un tema, quanto un modello: è visto come categoria alla luce della quale la storia intera può essere interpretata. Non dimentichiamo che è il Medioevo è innanzitutto il tempo delle grandi cattedrali. E costruire cattedrali è anche quello che fa Corti, un’opera ardita, in continua evoluzione, imperitura».
L’aspetto affascinante di Eugenio Corti è che al posto della complessità, di fatto vuota, c’è un’immagine, semplice, ferma, riconoscibile. Che dà significato e dà verità a tutto il resto. E il lettore non può fare a meno di pensare: “Se è vera questa storia, ci sono dentro anch’io”».

"Mi sono chiesto perché l'unica civiltà tecnologica e scientifica sia la nostra. Ho cercato di trovare le ragioni, posso garantire che ci rifletto da parecchio tempo, e l'unica spiegazione che ho trovato è la presenza del terriccio, dell'humus della cristianità". (Leo Moulin).



«Noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose e più lontano di quanto vedessero questi ultimi; non perché la nostra vista sia più acuta, o la nostra altezza ci avvantaggi, ma perché siamo sostenuti e innalzati dalla statura dei giganti ai quali ci appoggiamo».

Intorno al 1120, Bernardo di Chartres amava così paragonare davanti ai suoi allievi i propri contemporanei e i loro gloriosi predecessori dell’età antica, epoca di giganti e santi.



Giacomo Biffi, già arcivescovo di Bologna, che scrive tra l'altro:



«Bisogna che ci decidiamo a renderci conto del cumulo di giudizi arbitrari, di deformazioni, di vere e propri bugie che incombe su tutto ciò che è storicamente attinente alla Chiesa. Siamo letteralmente assediati dai travisamenti e dalle menzogne: i cattolici in larga parte non se ne avvedono, quando addirittura non rifiutano di avvedersene...».



Léo Moulin, uno dei più prestigiosi storici europei, laico, razionalista, "di un agnosticismo che confina con l'ateismo":



«date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anticristiana è l'essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza; a instillargli l'imbarazzo quando non la vergogna per la loro storia. A furia di insistere, dalla Riforma sino ad oggi, ce l'hanno fatta a convincersi di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo. Vi hanno paralizzato nell'autocritica masochistica, per neutralizzare la critica di ciò che ha preso il vostro posto».





Una citazione di Umberto Eco dalle pagine conclusive de Il nome della rosa, allorquando Guglielmo di Baskerville contempla l'incendio della biblioteca e della chiesa. Eccola.



“Temi i profeti e coloro che sono disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro (...) Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l'unica verità è imparare a liberarci dalla morbosa passione per la verità”.


 Marco Tangheroni, Il Medioevo in difesa della relatà storica del medioevo

tratto dal la rivista Cristianità n. 34-35 (1978):



Dall’Umanesimo al Rinascimento, dal protestantesimo all’illuminismo e oltre, fino ai nostri giorni, la storia dello sforzo rivoluzionario teso a fare perdere ai cattolici la consapevolezza di avere un passato “sociale” particolarmente glorioso. Fare dimenticare il Medioevo o falsificarlo è un artificio per trasformare la civiltà cristiana da realtà storica – vissuta e quindi di nuovo vivibile – in mito, e per convincere surrettiziamente che l’impegno per restaurare una Cristianità è pura utopia.”È abolito l’insegnamento della storia”. Questo esplicito e brutale provvedimento preso dalla repubblica comunista ungherese di Béla Kun nel 1919, durante la sua breve e sanguinaria esistenza, chiarisce bene l’assoluta necessità, per il processo rivoluzionario, di recidere i legami della società e degli individui con il passato. Lo sforzo ugualitario, che nasce dall’orgoglio – fonte primaria, con la sensualità, di tutta la Rivoluzione(1) -, persegue, animato da un odio metafisico per ogni disuguaglianza e da un cosciente rifiuto di Dio creatore e, conseguentemente, della condizione di creatura propria dell’uomo, la terribile utopia di cambiare la natura umana.
Occorre, per realizzare ciò, cancellare ogni forma di “memoria” sociale e individuale. E mentre già i teorici marxisti – e anche quelli più genericamente progressisti – sognano di cambiare perfino la memoria biologica dell’uomo, attraverso manipolazioni del patrimonio genetico (2), si lavora intanto, mediante la manipolazione del patrimonio culturale, alla cancellazione della memoria storica.



Qualcuno potrebbe osservare che mi sono servito di un esempio tratto da una punta estrema e isolata del processo rivoluzionario, mentre, in realtà, il marxismo-leninismo, soprattutto nella sua versione italiana ispirata a Gramsci, si presenta, anzi, proprio come storicismo. Rispondo che, a parte l’indubbia e legittima utilità di vedere gli sbocchi estremi di certe tesi e posizioni per meglio comprenderle, è proprio connaturale allo storicismo marxista, e anzi a ogni storicismo, lo stravolgimento mutilante del passato.



Riservandomi di svolgere dettagliatamente il discorso, basterà ora osservare che non è necessario, per distruggere la vera memoria storica e degli individui e dei corpi sociali, fare sempre e totale tabula rasa del passato. Sono sufficienti, infatti, due tipi di operazioni: a) agire selettivamente sul passato: b) agire su questo stesso passato in modo falsificante.



Per ogni storicismo l’unica positività della storia è data dalle realtà che sopravvivono nelle epoche successive; tutto il resto è negatività. Quando si afferma che nel passato ciò che interessa è quanto fa ancora in qualche modo parte del presente, si additano allo storico due compiti: in primo luogo indicare nei secoli passati i primi germi embrionali delle radiose conquiste di oggi e di domani; in secondo luogo indicare le resistenze, le inerzie, i tabù e le superstizioni che ancora vincolano il presente e da cui occorre liberarsi per realizzare il paradiso in terra. Questo, appunto, chiamo criterio di selettività.



Quanto alla falsificazione, essa è qualcosa di diverso e di più raffinato di semplici alterazioni della verità storica (che in una certa misura, forse, i vincitori hanno sempre fatto). Essa, infatti, è oggi legittimata e teorizzata, fondata com’è sul concetto – storicistico – di senso della storia.



L’affermazione secondo cui “la verità è sempre rivoluzionaria” va dunque intesa nel suo senso profondo: soltanto ciò che è rivoluzionario, ossia nella linea del senso della storia, può essere considerato vero. Ciò è, del resto, una esplicitazione dell’hegeliano “tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale” (3) .



Si comprenderà, allora, che le manipolazioni del passato, da quelle più sfacciate a quelle più sottili, da quelle organizzate dall’alto (secondo il modello orwelliano del ministero della verità) a quelle più sottilmente indotte e accettate dalla pavidità e dal conformismo degli intellettuali anche non-marxisti, hanno un loro fondamento nelle varie gamme di un modo, al fondo unitario, di concepire il mondo, l’uomo, la storia. Se, per esempio, a ogni edizione l’Enciclopedia Sovietica cambia o sopprime le vecchie voci e ne presenta di nuove (4), ciò non è opera arbitraria di una cricca che ha “tradito la rivoluzione”, giacché per i marxisti-leninisti il passato non è qualcosa di dato, di avvenuto in modo stabile e irrevocabile (tanto che nemmeno Dio può fare sì che ciò che è accaduto cambi o non sia accaduto), ma è qualcosa di mutevole e di mutabile in rapporto al dinamismo storico e alle esigenze, a esso legate, della Rivoluzione. Gli uomini vogliono essere creatori del proprio passato, oltre che di se stessi; e per essi, ovviamente, decide l’avanguardia della Storia e della Rivoluzione, la direzione del partito comunista.



”Cancelliamo il Medioevo”



Il lettore vedrà, nei cenni di storia del concetto di Medioevo che seguiranno, quanto abbiano agito i metodi sopraindicati. Qui voglio sottolineare altre due forme di cancellazione della memoria storica: il voluto silenzio e la deformazione linguistica.



Per quanto riguarda il primo aspetto si può partire della osservazione –apparentemente contraddittoria – che la storiografia ha realizzato negli ultimi decenni, grazie soprattutto a storici tedeschi e francesi, progressi effettivi nella conoscenza di quei secoli che vengono compresi abitualmente nel concetto di Medioevo. Progressi, si badi bene, non solo dovuti a perfezionamenti tecnici o a nuovi ritrovamenti eruditi, ma caratterizzati talora da una più adeguata comprensione delle forme di vita e delle mentalità, anche se sovente ricoperti da una patina di concessioni ai luoghi comuni. E vero pure che rari sono gli storici italiani che hanno recepito, nella sostanza, queste nuove acquisizioni; così come non è raro, invece, che in Italia gli editori preferiscano tradurre insulse, e a volte risibili, opere di storici sovietici. Ma il fatto, comunque, resta.



Accanto a questa considerazione, però, ne va purtroppo subito fatta un’altra: pochissimo di questa storiografia (confinata appunto in testi di non facile accesso e, a volte, dal soverchio e sospetto “esoterismo” accademico) si diffonde nell’opinione pubblica, anche in quella cosiddetta colta. Sarebbe interessante una ricerca sui “Medioevo” di certe riviste di divulgazione pseudo-storica e sulla presentazione che del Medioevo è data dagli spettacoli cinematografici e dai mezzi di comunicazione di massa in genere. I luoghi comuni vengono ripresentati con indifferente, anzi più insistente ostinazione.



Ma ancora più grave è quanto sta accadendo nella scuola, in cui, se già i programmi della idealistica riforma Gentile facevano poco e poco favorevole posto a quei secoli, lo studio del Medioevo ha, nella prassi quasi generale, poco, pochissimo spazio e tempo. Quando non lo si salti a pié pari, ciò che accade sempre più spesso, ci si limita a ripetere qualche luogo comune in attesa di diffondersi sul come l’arte rinascimentale venga a riscattare la barbarie precedente; la filosofia rinascimentale cancelli l’arida e oscura scolastica; la politica si sganci (finalmente!), con Machiavelli, dalla morale; e alle realtà universali (Papato e impero) subentrino le nuove realtà delle monarchie nazionali avviate a un parzialmente accettabile assolutismo illuminato. Del resto, di grazia, cosa mai potrebbero dire sul Medioevo insegnanti di lettere che ormai, nei loro blandi studi universitari, molto di rado affrontano un esame di tema medioevale e che di quel periodo ignorano del tutto la lingua?



Osservazioni spicciole? Certo, ma è anche con operazioni di questo tipo che si realizza la congiura del silenzio. E questa congiura del silenzio è condizione necessaria per il. mantenimento di un terrorismo linguistico evidente, nelle sue conseguenze, anche nel parlare quotidiano. Tutto ciò che è brutto, crudele, da condannare, viene correntemente definito con l’aggettivo “medioevale “. Chi conosce l’importanza della battaglia del linguaggio e l’importanza dei successi conseguiti in essa dalla Rivoluzione (5), intende l’intento esorcistico di questo uso linguistico, al quale occorre pertanto reagire con impegno e decisione.



Di più: una operazione dai risultati analoghi si svolse addirittura fin da quando fu coniato il termine stesso di Medioevo. Età Media, si disse, tra due epoche considerate molto positivamente: la classicità e il Rinascimento; puro scorrere di secoli, quindi, privi di una propria caratterizzazione positiva, pausa nel luminoso cammino del progresso storico, ricaduta nella barbarie e nella inciviltà. Così, mentre termini come Rinascimento o illuminismo, si pongono come già semanticamente caratterizzati (nuova vita, luce sul mondo), la coniazione stessa del termine Medioevo, puramente cronologico, sembra contribuire alla operazione di silenzio e di deformazione.



Alla luce delle considerazioni accennate, risulta così comprensibile la scritta, in inchiostro rosso, apparsa alla Sorbona nel 1968: “cancelliamo il Medioevo”.Certo, probabilmente essa significava, per gli estensori, innanzitutto: cancelliamo quei residui di Medioevo che sono ancora presenti oggi (cioè quei residui di civiltà cristiana la cui difesa deve costituire uno dei più urgenti compiti del contro-rivoluzionario). Ma per raggiungere l’obiettivo (quale che fosse la consapevolezza degli estensori) occorre proprio cancellare la memoria del Medioevo.



Medioevo o civiltà cristiana?



Ma perché quest’odio per il Medioevo? Proprio la sostituzione linguista di un termine apparentemente neutro a quello che si dovrebbe usare, ci fornisce la chiave della risposta. In realtà, ben più che di Medioevo, bisognerebbe parlare di civiltà cristiana o di Cristianità (a seconda che si voglia sottolineare maggiormente l’aspetto socio-culturale o quello politico-istituzionale).



Ora, secondo la lucida analisi della Rivoluzione fatta dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira, la Rivoluzioneper eccellenza è la distruzione dell’ordine per eccellenza. La Cristianità medioevale fu l’ordine alla cui distruzione ha lavorato per secoli la Rivoluzione; e ancora essa lavora per abbatterne quanto, tra le rovine, resta in piedi (magari anche solo come latente possibilità di salvezza sociale). Ciò, si badi, non per un caso, come sarebbe se la Rivoluzione avesse fortuitamente incontrato sul suo cammino un ordine cristiano; non con uguale odio, infatti, avrebbe perseguitato un qualsiasi altro ordine.



Cito ancora Plinio Corrêa de Oliveira: “La Cristianità non è stata un ordine qualsiasi, possibile come sarebbero possibili molti altri ordini. È stata la realizzazione, nelle condizioni inerenti ai tempi e ai luoghi, dell’unico vero ordine tra gli uomini, ossia della civiltà cristiana” (6) .



Questo significa che non si può avere, nei confronti della Cristianità, né un atteggiamento di indifferenza e neppure una vaga e superficiale simpatia (propria di certo pseudo-tradizionalismo acattolico o anti-cattolico). Il modo di porsi rispetto a essa è qualificante e determinante.



Aggiungo anche, in attesa di ritornare sull’argomento, che ciò non significa che non possano esserci, in mutate condizioni, nuove civiltà cristiane; chè, anzi, proprio da tale prospettiva è animata, come da causa finale, la vera azione contro-rivoluzionaria.



Ciò è sempre stato presente al pensiero contro-rivoluzionario; di più: ciò è sempre stato insegnato dal Magistero pontificio (7). Basti questo a sottolineare l‘importanza di una comprensione non superficiale della civiltà cristiana, dei suoi princìpi e dei suoi modelli e – per diametrum – l’utilità di uno sguardo preliminare sulla genesi e sulla storia del concetto di Medioevo.



Medioevo e Rinascimento



Alcuni storici e studiosi di metodologia negano addirittura la liceità di ogni periodizzazione storica: ogni partizione del fluire costante del tempo sarebbe così un errore sviante, al più giustificato da necessità didattiche. È chiaro che in questa prospettiva non ha senso parlare di Medioevo e Rinascimento, e la storia del concetto di Medioevo diviene la storia di un vaneggiamento.



Ma mi pare opportuno aggiungere che neppure il nostro discorso conserverebbe un senso se si dovesse, idealisticamente, considerare la periodizzazione una operazione tipica del ripensamento del passato da parte del soggetto, una griglia (destinata a cambiare da individuo a individuo e da tempo a tempo e quindi, in definitiva, arbitraria) da applicare a un passato informe o dalle forme non conoscibili.



In realtà il Medioevo fu un periodo unitario (e solo perciò unitariamente ripensabile) nella sua essenza: il suo essere cristiano. Essenza: non puro dato esterno, non semplice denominatore comune.



Il Rinascimento rappresentò, rispetto a esso, una sostanziale rottura, come hanno continuato a riconoscere storici filorinascimentali o marxisti, evidentemente con segno valutativo opposto (8).



Argomento, quello della decadenza del Medioevo (per corrosione e corruzione interna, non per assalto di barbari o di turchi) e delle origini del mondo moderno, che qui è solo accennato, per fare notare che quanti hanno creduto di indicare“rinascite” medioevali – per quanto giustamente avversanti i luoghi comuni della ignoranza e della barbarie di quei secoli e animati, talora, da buone intenzioni – hanno di fatto contribuito ad annullare ogni specificità dell’epoca.



Detto questo apparirà ben comprensibile il fatto che la genesi prima del concetto di Medioevo si ritrovi proprio nel Rinascimento, che si pose, coscientemente, in antitesi con i secoli precedenti. Anche se molti storici ritengono che le espressioni ricorrenti negli autori dell’epoca – come, sin dal 1469, in Cusano, media tempestas e media antiquitas (9) – non indichino ancora una precisa temporizzazione, pure esse sono sintomi della consapevolezza di un cambiamento e di un distacco, oltre ad avere avuto una influenza sulla successiva canonizzazione linguistica e temporale del termine e del concetto.



Così, ancora, vanno respinte interpretazioni troppo riduttive di questa consapevolezza e di questa volontà di rottura con il passato. È vero che esse si manifestano maggiormente in scrittori di cose d’arte o in artisti; ma anche in quelle affermazioni troviamo un respiro più vasto che non un puro limitarsi tecnico al campo dell’arte, essa stessa avviata sulla china di una sempre più pericolosa cerebralizzazione. E come negare, del resto, lucidissima consapevolezza a Machiavelli? E come non vedere i profondi legami che lo vincolano al suo tempo? (10).



Medioevo e pseudo-Riforma Protestante



Tuttavia, è indubbio che proprio dai teologi e dagli storici protestanti venne un decisivo incremento alla “leggenda nera” del Medioevo. Più, comunque, che le fondate polemiche e le patenti menzogne – contro le quali fu assai ammirevole ed efficace la reazione della storiografia cattolica della Contro-Riforma, in particolare del cardinale Baronio -, è bene ricordare l’odio anticattolico, proprio dal quale tali scrittori erano animati e da cui nasceva il loro giudizio negativo sul Medioevo, epoca del trionfo della Chiesa e del Papato romano, spesso identificato con l’Anticristo!



Accanto ad alcune pagine di Lutero, si possono ricordare scritti specificatamente storici di Melantone e di Sleidan. Ma particolarmente significativa ci appare soprattutto l’opera di Kaspar Peucer, continuatore del Chronicon Carionis (11), con la sua concezione dei tre “fatales periodi”: fino al 500 la vittoria della verità sull’errore, dal 500 al 1000 la lotta tra l’uno e l’altra, dal 1000 al 1500 il trionfo dell’errore, cioè della teocrazia papale. Pur rimanendo attaccato all’impero come istituzione tedesca, egli non può più intenderne il significato universale, desacralizzandolo e contrapponendolo al Papato.



Così, nel giudizio di Peucer, gli imperatori “cattivi” erano quelli che avevano operato in armonia con la Chiesa (i Carolingi, per esempio) ed i “buoni” quelli che avevano invece voluto combatterla (per esempio, Federico II). Ma è interessante rilevare che ai suoi stessi occhi l’epoca che la Riforma ha aperto non poteva essere un’epoca di pace, bensì di gravi e insanabili conflitti. Nessun insulto è risparmiato ai pontefici (chiamati “flagellum Dei”), alle istituzioni (il giubileo definito “ludi saeculares”), agli ordini religiosi (in particolare francescani e domenicani) e ai frutti culturali (il diritto canonico e la scolastica).



Infine, questa storiografia protestante sfocerà in una varia produzione manualistica, apparentemente più asettica, ma pur sempre carica degli aspetti indicati come propri dei precedenti autori protestanti. Tra queste opere celebre è rimasta la Historia medii aevi a temporibus Constantini Magni ad Costantinopolim a Turcis captam di Cristoforo Keller (12), comparsa nel 1688, per la definitiva introduzione del termine Medioevo e la fissazione dei limiti cronologici più comunemente accettati.



Certamente– e si possono qui recuperare le suggestioni dell’opera di Falco – la storiografia protestante finì con l’avere non diciamo dei meriti, ma dei risultati positivi. In primo luogo stimolò, come si è detto, una storiografia contro-riformistica di notevole levatura. In secondo luogo contribuì a porre l’accento sul carattere specifico del Medioevo: il suo essere cattolico. Così va, grazie a Dio, il mondo: come dalle eresie e dagli errori si arricchì sempre più nei secoli il venerabile patrimonio dogmatico e magisteriale della Chiesa cattolica, così, in campo storico, dalle faziose, astiose, deformanti opere degli scrittori protestanti sortirono pure conseguenze veritiere e positive. Ma, ovviamente, ben altre furono le eredità accolte dalla storiografia illuminista.



Medioevo e Illuminismo



Essendo lo scopo di queste nostre considerazioni l’esame della formazione del “modello”di Medioevo proprio del pensiero rivoluzionario (ancorché – come appena visto –ciò comporti inevitabilmente anche l’indicazione del rovescio della medaglia), sarebbe fuori luogo soffermarci sulla cosiddetta storiografia erudita della fine del Seicento e della prima metà del Settecento. Tuttavia sarà bene ricordare che essa – con i suoi grandi meriti e con le sue opere tuttora, spesso, praticamente indispensabili – appartiene quasi completamente alla grande tradizione storiografica ecclesiastica (13). Si pensi ai padri maurini, e in particolare a Mabillon, fondatore della diplomatica, disciplina ausiliare della storia, necessaria per l’individuazione dell’autenticità dei documenti; ai bollandisti, società di gesuiti specializzati nell’agiografia; anche, per l’Italia, al Muratori, il quale, con tutte le sue esigenze – non aliene da influssi giansenistici – di una religiosità più intima e razionale, si riallaccia direttamente alla tradizione maurina per quel che riguarda il metodo storico.



Di queste nuove acquisizioni non sempre seppe o volle giovarsi la storiografia illuministica, la quale fu animata da ben altri intenti, e, non provando per il Medioevo altro che profonda avversione, non poté neppure tentare di comprendere dall’interno, per così dire, quel periodo.



È evidente, invece, in essa l’eredità delle polemiche rinascimentali e protestanti, a riprova del legame di filiazione di questa nuova tappa del processo rivoluzionario dalle due fondamentali tappe precedenti: il Rinascimento, appunto, e la Pseudo-Riforma.



Ben noto, ed esemplare, in questo senso, è l’Essai sur les moeurs et l’ésprit des nations di Voltaire (14), con il relativo supplemento. Che cosa è stato per lui il Medioevo? Nove secoli di trionfo dell’opinione; un periodo in cui hanno trionfato le superstizioni, insieme lugubri e ridicole, imposte dalla Chiesa, colpevole d’avere allontanato l’Europa dai princìpi della ragione; una stasi nel progresso umano, anzi un ritorno alla barbarie; un succedersi di convulsioni e guerre senza senso, come le crociate.



Certo, com’è stato messo in rilievo da altri (15), Voltaire è più benevolo con determinate forze o personaggi. Ma sono pur sempre le forze o i personaggi (la borghesia in via di laicizzazione o il solito Federico II) che gli sembrano avere collaborato alla distruzione di quella odiata civiltà. Tutto ciò che è cristiano gli appare insopportabile: della stessa Riforma protestante misconosce la portata dissolutrice perché era rimasta, pur sempre, in qualche modo, in ambito cristiano.



L’esemplificazione degli errori e delle incomprensioni sarebbe agevole e ben lunga. Ma è del resto evidente, da quanto si è detto, che l’odio per ogni tradizione, specie se religiosa, e l’orgogliosa esaltazione razionalistica di una raison illuministica, astratta e superba, ben diversa dalla retta ragione cara al pensiero cristiano, non potevano fargli comprendere che ben poco dei secoli cristiani. Lo stesso Falco, pur così teso a cogliere in ogni autore studiato le tappe di un presunto costante progresso conoscitivo, così conclude il suo dettagliato esame: Voltaire “è assolutamente negato a capire il Medioevo nelle sue forze organiche:ordinatio ad unum, papato e impero, repubblica cristiana. In base alla ragione, ai diritti della natura, egli condanna, senza riviverli dall’interno, Chiesa, fede, miracoli, eresie, crociate, feudalesimo, in una parola tutto il Medioevo” (16).



Ancora più evidente lo schema appare nell’Esquisse d’un tableau des progrès de l’ésprit humain di Condorcet (17), composto, poco prima del suo suicidio, nel 1794. La storia umana altro non sarebbe che la lotta degli uomini per progredire ed elevarsi contro le resistenze della Tirannia (oppressione religiosa e dispotismo militare). Alla fede in un progresso indefinitamente perseguibile nel corso storico, tutta racchiusa in un orizzonte puramente terreno, si contrappone, con deprecato successo, il cristianesimo, proteso verso l’ultraterreno, nemico delle scienze, propagatore dell’impostura dei miracoli, alimentatore di una puerile credulità.



Anche in questo caso la chiarezza dei presupposti rende superflua una esemplificazione che porrebbe esclusivamente l’imbarazzo della scelta. Ma anche in questo caso giova ricordare come l’accento più spesso risuonante sia quello anticattolico; egli infatti mostra verso Lutero un atteggiamento ben più favorevole che non quello di Voltaire. La Chiesa di Roma “subdola, audace, impassibile, arbitra della cultura, sorretta dall’ignoranza e dalla superstizione, sfrutta l’una e l’altra a vantaggio del suo orgoglio e della sua vanità” (18). Erano, gli anni in cui scriveva Condorcet, quelli in cui la Rivoluzione francese perseguitava apertamente quella parte del clero rimasta fedele al Papa e alla tradizione, e introduceva in Nôtre-Dame il sacrilego culto della dea Ragione.



Ma la stessa componente anticattolica è possibile ritrovare anche nell’opera del più celebrato degli storici illuministi, Edward Gibbon (19). Certo, egli ebbe un senso storico che mancava pienamente agli illuministi francesi e una informazione più seria e più vasta; inoltre egli si rese conto che nel crogiolo dell’Alto Medioevo era nato un mondo nuovo, per cui, a volte, pare porsi qualche problema.



Ma a impedire una comprensione più profonda e anche a infirmare risultati parziali– a portata di penna per il suo ingegno e la sua erudizione – sta, appunto, la pregiudiziale anticattolica, che lo porta a vedere nella religiosità e mentalità medioevali null’altro che superstizione, e nel papato la fabbrica di questa superstizione. Si leggano, per esempio, le pagine sul monachesimo: banali luoghi comuni e accuse che sarebbero parse, credo, eccessive perfino a Celso!



Se, dunque, anche l’intelletto naturaliter historicus di Gibbon poteva essere a tale punto oscurato dai miti dell’orgoglio del secolo, è facile immaginare il livello dei pamphlets, dei romanzi, degli articoli dell’Enciclopédie: di tutto ciò che faceva opinione e preparava, nei salotti e nelle tipografie, sulle scene e nelle logge massoniche, la grande esplosione rivoluzionaria dell’89.



In particolare, possiamo vedere quasi l’incarnazione di questo lavorio nella celebre notte del 4 agosto 1789, allorché l’Assemblea Nazionale decretò, praticamente, di sopprimere il passato (20). Lo scopo era analogo a quello della scritta sessantottesca sopra ricordata: “cancellare il Medioevo”.





Conclusione



Arrestiamo qui il nostro cammino. Alla fine del ’700 l’operazione rivoluzionaria intorno al Medioevo può dirsi compiuta. In effetti essa ha raggiunto i suoi tre obiettivi: dare della Cristianità una immagine falsa e negativa; diffondere questa immagine fino a farne un quadro intoccabile e accettato; calare nell’azione politica le idee e i sentimenti antimedioevali. Naturalmente, i ritocchi al quadro furono poi numerosi – e interessante, non v’è dubbio, ne sarebbe l’analisi -, ma l’essenziale c’è già.



D’altronde, continuare a seguire il filo della storia della storiografia medioevale richiederebbe un discorso ben più vario e articolato: non solo per la ricchezza quantitativa dell’argomento, ma soprattutto per le sfumature e le articolazioni cui il discorso non potrebbe rinunciare, pena una pericolosa ambiguità. Occorrerebbe dire, cioè, degli spunti di rivalutazione propri del Romanticismo, ma anche del piano sentimentale ed estetizzante al di sopra del quale quasi mai essi seppero collocarsi; dei risultati conseguiti dalla erudizione positivistica, ma anche dei suoi ristretti orizzonti; della netta chiusura idealistica; delle diverse correnti, parzialmente vitali, della storiografia odierna, del bene che vi si può trovare e della difficoltà di trovarvelo in mezzo a luoghi comuni e a pregiudizi.



Oppure, diversamente, si potrebbe mostrare come larga parte del mondo cattolico di oggi, così imbevuto di “modernità”, abbia accolto, anche a proposito di Medioevo, miti e pregiudizi protestanti e illuministici. Ma, purtroppo, tale operazione può essere facilmente compiuta dal lettore: tra libri di storia e libri di teologia, discorsi di vescovi e omelie domenicali, riviste e giornali sedicenti cattolici, egli avrà soltanto l’imbarazzo della scelta.



Senza dimenticare che la Rivoluzione è un processo, con le sue tappe, le sue metamorfosi, le sue variazioni di velocità, occorre anche ricordare che essa ha radici sempre identiche. Cosicché il ripetersi di certi temi non può stupire.



Marco Tangheroni



***



(1) Per queste categorie interpretative è fondamentale lo studio di Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977.



(2) Per il sogno marxista di modificare perfino le basi biologiche della natura umana cfr., a titolo di esempio, questo brano, tratto da un autorevole marxista francese, Henry Lefebvre: “La diseguaglianza biologica degli individui è un fatto incontestabile [...]. In una società umana questi problemi saranno posti ed esaminati per trovarne una pratica soluzione. L’uguaglianza sociale concreta non abolirà le diseguaglianze naturali, ma [...] in seguito, bisognerà impegnare la lotta contro l’elemento biologico per dirigerlo, per scoprire e superare le necessità originate da eredità e fatalità geografiche, razziali, ecc.” (H. Lefebvre, Il materialismo dialettico, trad. it., Einaudi, Torino 1975, p. 121).



(3) Il principio è, notoriamente, fondamentale nella filosofia hegeliana: nella formulazione data esso si trova nella prefazione alla Filosofia del Diritto.



(4) Vari esempi del fatto, del resto assai noto, in R. Conquest, Il grande terrore, trad. it., Mondadori, Milano 1970.



(5) Su questo aspetto della tattica rivoluzionaria si veda P. Corrêa de Oliveira, Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo, trad. it., Edizione de l’Alfiere, Napoli 1970.



(6) P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 94.



(7) Basti qui citare il bel passo dell’enciclica Immortale Dei di Leone XIII: “Fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato; quando la Religione di Gesù Cristo posta solidamente in quell’onorevole grado, che le conveniva, traeva su fiorente all’ombra del favore dei Principi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il Sacerdozio e l’Impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocanza di servigi. Ordinata in tal guisa la società, recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare” (ASS, vol. XVIII, p. 169).



(8) Per un esempio di storico idealista filorinascimentale cfr. F. Chabod, Studi sul Rinascimento, Einaudi, Torino 1967. Per un’opera di orientamento marxista, R. Romano – A. Tenenti, Alle origini del mondo moderno, Feltrinelli, Milano 1967.



(9) Cfr. R. Morghen, Il Medioevo nella storiografia dell’età moderna, in Nuove questioni di storia medioevale, Marzorati, Milano 1964, p. 1. Il saggio di Morghen, anche per la sua bibliografia, può essere utilmente consultato per un primo approfondimento del tema.



(10) Si veda, in proposito, il bel saggio su Machiavelli, visto come espressione del Rinascimento, in M. De Corte, Fenomenologia dell’autodistruttore, trad. it., Borla, Torino 1967.



(11) Cfr. su questi autori e in generale sulla storia del concetto di Medioevo, il volume di G. Falco, La polemica sul medioevo, Guida, Napoli 1977. L’opera di Falco, che dall’Umanesimo giunge sino al primo Romanticismo, è meritatamente celebre, anche perché il suo autore aveva una profonda consapevolezza dell’unità del Medioevo. Essa, tuttavia, rivela una pericolosa influenza storicistica nello sforzo, detto in parole semplici, di mostrare a ogni costo che anche il male non viene per nuocere, e che dalla negatività delle incomprensioni sorte ne viene sempre un progressivo irrobustimento e arricchimento del concetto del Medioevo.



(12) Cfr. G. Falco, op. cit., pp. 104 ss.



(13) Tale tradizione storiografica si era aperta con Eusebio, che aveva dato vita nuova a un genere letterario languente: esempio particolare di un fenomeno generale di superamento della morente ed estenuata cultura pagana da parte della cultura cristiana; cfr. i riconoscimenti alla storiografia cristiana da parte di A. Momigliano, Storiografia pagana e storiografia cristiana nel secolo IV d.C., nel volume AA. VV., Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, Einaudi, Torino 1975.



(14) Voltaire, Essai sur les moeurs et l’esprit des nations e Remarques pour servir de supplément a l’”Essai sur les moeurs”, in Oeuvres complètes, Parigi 1878.



(15) Per es. L. Gatto, Viaggio attorno al concetto di Medio Evo, Bulzoni, Roma 1977, pp. 92-94. Questo volumetto di Gatto, dagli intenti sintetici e didattici, contiene una bibliografia aggiornata, e può perciò essere segnalato, a patto di tenere presente la discontinuità dei giudizi.



(16) G. Falco, op. cit., p. 138.



(17) Ibid., cap. VII.



(18) Ibid., p. 145.



(19) E. Gibbon, Storia della decadenza e caduta dell’impero romano, trad. it., Einaudi, Torino 1967.



(20) Dopo avere esposto l’andamento della seduta del 4 agosto 1789 e i suoi risultati, uno storico filorivoluzionario, Mathiez, così commenta: “Questa grandiosa abiura del passato durò tutta la notte: all’alba una novella Francia era nata” (A. Mathiez – G. Lefebvre, La Rivoluzione francese, trad. it., Einaudi, Torino 1960, p. 75).





Régine Pernoud Luce del Medioevo

Medioevo liberato dall'illuminismo



Sta per essere pubblicata la nuova edizione di un "classico" di Régine Pernoud curata da Marco Respinti. L'opera della medievista può configurarsi come "l'anti-Nome della rosa" di Eco.



Due anni fa, il 22 aprile del 1998, scompariva a Parigi, all'età di 89 anni, la grande medioevista francese Régine Pernoud. Ora, torna finalmente in libreria il suo Luce del Medioevo. Difficile trovare titolo di libro così evocativo, diretto, significativo del contenuto, "culturalmente scorretto" - per usare un'espressione in voga da alcuni anni -, ma che all'epoca in cui uscì (quantomeno in Italia, nel 1978) poteva ben esser definito "non conformista" e alternativo. Tutto è infatti già contenuto in quell'accostamento fra due termini che gli stereotipi vorrebbero invece in antitesi inconciliabile: "luce" e "Medioevo", dato che notoriamente, come si insegna persino negli asili nell'intero cosiddetto "Occidente", quella "di mezzo" è stata solo un'età "oscura", "tenebrosa" e colma di disperazione, di morti per fame e per peste, di biechi tiranni religiosi o laici poco importa, i quali passavano il tempo a bruciare eretici e donne (presunte streghe, in realtà proto-femministe secondo la vulgata decisa a posteriori), ad ingozzarsi di cacciagione ed accumulare oro, ignoranti e spregiatori del progresso della scienza, superstiziosi e creduloni. Ebbene, nel 1945 (!) in Francia, appare Lumière du Moyen Âge (come suona lo splendido titolo originale) in cui una caparbia studiosa, Régine Pernoud, con un linguaggio semplice, accessibile, con solide basi culturali e documentarie, smonta uno per uno tutti i luoghi comuni, le "leggende nere", incrostatesi nel corso degli ultimi secoli, su quei circa mille anni cruciali per la storia dell'umanità. Così disprezzati da non esser neppure definiti e aggettivati, come tutte le altre epoche (classicità greca, romanità, Umanesimo, Rinascimento), ma solo in quanto "Evo di mezzo" appunto fra antichità e modernità. Nel 1978 appare così in Italia - grazie alla disponibilità del piccolo ma coraggioso e generoso editore Giovanni Volpe (certo memore del rilievo che il padre, il grande storico Gioacchino, dava alle vicende medievali), sollecitato in ciò da Giovanni cantoni - un'edizione tradotta da Italo De Giorgi, con un'appassionata e approfondita presentazione dello specialista Marco Tangheroni, docente di Storia medioevale nelle Università di Sassari e di Pisa, nonché fecondo divulgatore di eventi storici. Oggi si ripubblica grazie a un altro medio-piccolo editore (e vorrà pur dire qualcosa quest'aspetto), Gribaudi, in una nuova edizione italiana accresciuta da una prefazione di Luigi Negri - docente di Antropologia filosofica all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - e da un'appendice in cui trovano spazio due interviste italiane della Pernoud, originariamente comparse sul mensile Cristianità, diretto da Cantoni, nel 1998 e nel 1993, nonché la presentazione predisposta da Marco Tangheroni per l'edizione Volpe del 1978, che qui ha l'ambizione di porsi quale valutazione del significato globale dell'intera opera storiografica della storica francese. Le interviste riprese in questa nuova edizione della prima e più importante opera della Pernoud (è lei stessa ad affermarlo ed a buon diritto, se non altro perché tutto il suo corpus successivo è stato un approfondimento, una specificazione e in qualche modo pure una dimostrazione proprio di quel volume "pionieristico") -interviste che, per argomenti, contenuti e stile, si pongono esattamente nella medesima linea dei capitoli di cui si compone Luce del Medioevo -, vennero a suo tempo realizzate, la prima da Massimo Introvigne, dal 1988 direttore a Torino del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), e la seconda da Marco Respinti, saggista, giornalista ed in specifico, studioso del pensiero conservatore angloamericano. E proprio a cura di Respinti esce il nuovo Luce del Medioevo di Gribaudi (che peraltro riproduce, con qualche ritocco, la "vecchia" traduzione di De Giorgi), così come sempre per i tipi di Gribaudi, Respinti ha tradotto e curato, nel 1999, Testimoni della luce, l'ultima opera - uscita postuma e di carattere autobiografico - data alle stampe dalla medievista francese.



Luce del Medioevo verrà presentato ufficialmente al pubblico a Torino, in occasione dell'annuale "Fiera del Libro" che si svolgerà dal 10 al 15 maggio. Del successo che ebbe nel nostro Paese - relativo per numero di copie, ma cruciale per l'influsso su giovani idealisti cattolici e di Destra, nonché su cultori e docenti di Storia che ebbero finalmente a disposizione un testo rigoroso per confutare lo sciocchezzaio antimedioevale che egemonizzava scuole e università -, parliamo con il curatore Marco Respinti che per i nostri lettori non necessita certo di presentazioni.



Luce del Medioevo rappresentò un esempio positivo non solo di storiografia accademica bensì di divulgazione "di massa" e specialmente in ambienti studenteschi. Chi era giovanilmente insofferente ai testi imposti nelle scuole, già pesantemente egemonizzati dalle vulgate gramsciane, progressiste, positiviste e antireligiose, e per giunta scritti pure "male", trovò nella Pernoud un'oasi di chiarezza, si appassionò al suo argomentare ferrato ma scorrevole, serio e autorevole ma al contempo ironico e polemico quando necessario (il "Dizionarietto del Medioevo convenzionale" - che al termine del volume mette alla berlina un certo "Medioevo di cartapesta" - è, sotto questo punto di vista, un vero capolavoro)...



"Gli scritti di questa grande medioevista - tutti, ma in particolare questa sua opera prima - rappresentano uno degli esempi più belli e riusciti di quella "alta divulgazione" di cui molti autori francesi - o comunque francofoni - hanno fatto un'arte. Marco Tangheroni ha più volte pubblicamente rilevato come un certo mondo accademico italiano non possa nemmeno tollerare il suono di termini come "divulgazione" o di nomi quali "Régine Pernoud". Ma si tratta solo di snobismo parvenu, tipico peraltro di chi, impotente e incapace di fare altrettanto, sa solo replica con lo sdegno e l'invettiva. Costa fatica, cioè, essere rigorosi e seri nel corso dell'indagine e della ricostruzione scientifica, ivi compreso il necessario - e necessariamente duro - apprendistato che serve a impadronirsi dei "ferri del mestiere". Cosa fatica fare molta anticamera e magari non salire mai alle luci della ribalta. Costa fatica sospendere il giudizio quando non si hanno a disposizione elementi sufficienti a ben valutare. Costa fatica spiegare bene, con terminologia appropriata, fantasia, capacità d'intuizione, immaginazione e savoir faire a chi non è specialista. Costa fatica, e richiede coraggio e umiltà. Mai - evangelicamente - la Pernoud ha giudicato la propria profonda conoscenza della storia un bene prezioso da custodire gelosamente. Le pagine autobiografiche che ella ha consegnato alla memoria del futuro in opere quali Testimoni della luce o, più diffusamente, Villa Paradis: souvenirs (a cura di Jérôme Pernoud, Stock, Parigi 1992) documentano il coraggio e l'umiltà con cui questo vero e proprio "topo di biblioteca" ha documentato non tanto gli "splendori" quanto la realtà di un'epoca che ha tentato, molto semplicemente, di fare una cosa sola: prendere sul serio la fede cristiana e agire di conseguenza.



Régine Pernoud è davvero una maestra, ma nel senso più specifico del termine: ha insegnato un metodo, quello dell'aderenza totale alla realtà e - l'espressione compare in Luce del Medioevo - alla verità delle cose. Molti suoi colleghi medioevisti, pur blasonati dai nomi altisonanti, non sono capaci nemmeno di un briciolo di questa sua disarmante - giacché umile e pura - forza di ricerca e di comunicazione".



Fra l'altro Lumière du Moyen Âge -- in francese forse destò ancor più scalpore quell'accostamento ai "lumi" vero? --, si rivelò utilissimo, qualche anno dopo, nel controbattere quella che mons. Luigi Giussani definì "un'opera di propaganda anticristiana": il famigerato romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco e l'ancor più deleterio film che ne trasse il regista Jean Jacques Annaud (forse neppure in URSS avrebbero fatto di peggio quanto a falsità storiche, approssimazioni nella ricostruzione di avvenimenti, pensiero e scenario medievali). È possibile definire l'opera della Pernoud "l'anti-Nome della rosa"?



"Certamente. E proprio per le ragioni che già ho cercato di evidenziare. Così come Il nome della rosa è, se si vuole, un "prodotto di scuola", un "manuale" che dietro l'artificio retorico della finzione romanzesca enuncia e sviluppa tesi ben precise, il corpus della Pernoud - gl'importantissimi studi sui santi, sulla condizione femminile, sulla nascita della borghesia, su santa Giovanna d'Arco e così via - non ha... alcunché da difendere... Ovvero, essa non è parto di un'idea preconcetta entro cui l'Autrice cerca poi di costringere la realtà, artatamente nascondendola quand'essa si mostrasse non pienamente rispondente allo schema astratto. In questo, costituisce una grande lezioni di anti-illuminismo, laddove l'opera di Eco - ma quella del semiologo è davvero forse la classica punta di un iceberg che cela un intero modo di fare ricerca, letteratura e insegnamento - appare proprio il frutto più maturo del philosophe da "società di pensiero". Un'ideologia autoreferenziale che, a onta del reale, propone un'interpretazione delle cose per tesi di cui è perso sin dal principio anche il gusto della dimostrazione. Non debbono ammaestrare e forse nemmeno convincere: esigono solo una sequela cieca. Nonostante i suoi paludamenti razionalistici da Shelock Holmes del passato, l'Eco de "Il nome della rosa" è il vate della nuova religione del (come sagacemente scriveva Eric Voegelin) "divieto di fare domande". La sua è la controverità basata sulla menzogna e sulla manipolazione della memoria storica prodotta dall'hybris dell'uomo moderno emancipato e assoluto (ab solutus) che domina ampi settori della scienza, della ricerca e dell'insegnamento. Sì, fra i due non ci potrebbe essere maggiore inconciliabilità nel modo di porsi davanti alle cose, agli uomini e alla realtà".



Pensi che Luce del Medioevo possa esser utilizzato non solo nella battaglia delle idee ma anche quale lettura consigliata e di supporto -- se non proprio come libro di testo -- da adottare nelle scuole?



" Non solo lo credo. Lo spero e lo auspico. E questa non è l'ultima delle ragioni della sua riproposizione editoriale accresciuta italiana".





per trovare gli incontri con gli esimi studiosi alle varie edizioni del Meeting per l'amicizia tra i popoli di Rimini:

Leo Moulin: docente di Lettere e Filosofia presso l'università di Bruxelles
Régine Pernoud, Francia, Docente di Storia Francese Medievale;

http://www.meetingrimini.org/default.asp?id=672&q=leo+moulin







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