"Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto."

"Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto."
Edward Hopper Sole del mattino

mercoledì 19 ottobre 2011

Tracce di tracce di settembre...

...Certi si diventa   di Davide Perillo


I volontari, le mostre, il Capo dello Stato, gli amici egiziani... Sette giorni fittissimi. Di sorprese. Emilia Guarnieri, presidente della kermesse riminese, ci racconta che cosa ha visto.
E perché sta scoprendo ora una frase sentita tanti anni fa...
Napolitano, certo. Il messaggio del Papa. E poi gli incontri sul Medioriente, le mostre, John Elkann, i cinque minuti di applausi alla lezione del filosofo Esposito... Ma se chiedi a Emilia Guarnieri, presidente e anima del Meeting di Rimini, che cosa l’ha colpita di più dell’edizione numero trentadue, la risposta è netta: «Il carisma di don Giussani. Tutti questi fatti mi hanno fatto accorgere di più di quanto sia incontrabile da tutti, se lo viviamo noi».

Quando te ne sei resa conto con più chiarezza?
Nel rapporto con gli amici egiziani. Wael Farouq è un miracolo che cammina. Uno che dice con una certezza sempre maggiore che attraverso l’amicizia con noi vive più a fondo la sua esperienza di musulmano, semplicemente non si spiega. O meglio: si spiega solo perché ha incontrato la stessa cosa che viviamo noi, e questo ha cambiato il suo cuore. Ma penso anche agli altri. Ad Abdel-Fattah, il “fratello musulmano”, che prima di presentare la sua traduzione in arabo del Rischio educativo ha chiesto «prega per me»... Ecco, la forza dell’incontro che hanno fatto è evidente. E poi mi colpisce sempre quando gli ospiti, dai cosiddetti Vip alle persone più semplici, dicono che il Meeting è «una cosa eccezionale». A me viene da chiedermi: che cosa vedono?

Appunto: che cosa vedono?
L’organizzazione, certo. La bellezza. L’accoglienza. I quattromila volontari mossi dall’ideale. Tutte cose decisive, perché sono l’esito dell’esperienza che viviamo. Ma al fondo di tutto questo c’è qualcosa di più. Mai come quest’anno mi è tornata in mente una frase detta da don Giussani tanti anni fa: «I miei amici non possono non riconoscere nel Meeting il fatto che è favorito da Dio». Non vuol dire solo che il Mistero ci aiuta e fa sì che vada tutto bene: questo è chiaro, se non fosse opera Sua sarebbe impossibile... Ma ora so che è qualcosa di più. Al Meeting riaccade di continuo l’esperienza del carisma: l’avvenimento di Cristo. E riaccade in tutta la sua portata ecumenica, nella sua capacità di incontro con tutti. È buffo, perché se vai a rileggere don Giussani queste cose ci sono già tutte. Ma uno se ne accorge man mano che succedono. E io non mi ero mai resa conto fino a che punto il nostro abbraccio a chi viene al Meeting partecipi dell’abbraccio di Cristo al mondo.

Ma alla fine di questa settimana sei più certa di prima?
Sì, perché ho visto succedere queste cose. Anzitutto in me. La letizia che vivo è un’esperienza mia. E mi rende più certa.

E perché? Che cosa ha permesso a te, e a chi fa il Meeting con te, di ritrovarvi così, più contenti?
Seguire. Uso ancora il metodo imparato in Gs a 15 anni: se sono arrivata fin qui e la fede non l’ho persa, vuol dire che funziona... Scherzi a parte: abbiamo preso le cose che don Julián Carrón ha detto sul Meeting durante l’anno e le abbiamo usate come ipotesi di lavoro. «È un’occasione per dare le ragioni della nostra esperienza, per incontrare tutti, per andare a fondo della proposta, per verificarne l’incidenza storica». In tutte le scelte abbiamo cercato di usare questi quattro fattori come criterio.

Perché?
Andando dietro a Carrón in questi anni ho continuato a vivere l’esperienza di don Giussani con un’intensità sempre più grande. Vedi, il Meeting è una responsabilità nostra. Tocca a noi, non a Cl. Ma se il centro del movimento nel Meeting vede quelle cose, noi - per quello che siamo e per la responsabilità che abbiamo - vogliamo sempre di più che il nostro lavoro corrisponda a quello. Che non è la soluzione dei problemi: non ci dice se fare un incontro in sala Neri o in sala Mimosa, o se è meglio che il moderatore sia Tizio o Caio. Ma indica un criterio. E io desidero che sia così. Lo so bene che l’unica cosa di interessante nella vita mia e del mondo è l’avvenimento cristiano così come l’ho incontrato. Sono certa di questo. Per cui voglio fare questo, non altro. Ma la responsabilità, ripeto, è nostra. Quel «dare le ragioni», per esempio, l’ho avuto ben presente quando si è trattato di decidere cosa dire introducendo Napolitano. Sapevo che dovevo dare a me, a lui e agli altri in sala le ragioni del perché eravamo lì, perché in quella forma, perché lo avevamo invitato...

E sull’«incidenza storica» della nostra esperienza, di cui ha parlato spesso lo stesso don Carrón? Che cosa te l’ha fatta capire di più, a Rimini?
Be’, la visita di Napolitano è stata clamorosa. Il Presidente della Repubblica viene al Meeting. Va a visitare un fatto che porta un nostro giudizio, come la mostra sui 150 anni dell’Unità. Lo valorizza molto. E fa un discorso di contenuti importanti: la cultura della verità, la realtà, la stessa sussidiarietà... Dice che siamo una risorsa per il Paese. Ci invita a seguire il nostro anelito di certezza. Io non ho mai usato la parola «riconoscimento», mi sembra fuori luogo. E si possono dare tante interpretazioni, più o meno politiche. Ma il fatto resta. E ha una portata storica indubbia. Poi gli incontri con i musulmani, con gli ebrei... Prendi il dialogo tra Joseph Weiler, giurista ebreo, e Ignacio Carbajosa, teologo cattolico, sul Deuteronomio. Si sono confrontati a viso aperto. Sono arrivati a un punto in cui è emersa con chiarezza tutta l’irriducibilità delle rispettive posizioni, non potrebbe essere altrimenti. Eppure si sono ritrovati più uniti e amici di prima. Un incontro del genere risolve il problema del rapporto tra ebraismo e cattolicesimo? Chiaro che no. Però è un fatto. Qualcosa che lascia un segno. E succede al Meeting, non altrove. Credo che l’incidenza storica sia questo.

Mai pensato in questi anni che il problema fosse fare altro? Che l’esito dipendesse da strategie più intelligenti, rapporti più accorti, sponde politiche?
Sinceramente: no. Anche perché non saremmo capaci di muoverci in maniera diversa. Tutte le volte che ho sentito nel Meeting tentazioni del genere, ho avvertito disagio. Poi, la nostra storia è stata molto accompagnata. Da don Giussani, fisicamente: non veniva a fare il Meeting, ma durante l’anno veniva a mangiare a casa nostra... Una compagnia grande, su tutto. Affiancata, nel tempo, da quella di Giancarlo Cesana. E da quella di don Carrón e del centro del movimento. Volendo, il compagno da guardare l’abbiamo sempre avuto. Certo, l’amico devi invitarlo perché entri in casa. Ma a dire la verità, l’abbiamo sempre fatto. Don Giussani all’inizio ci disse una cosa che allora non avevo capito, ma che tenevo lì: «Fate quello che vi pare, ma fatelo uniti con il centro». Ci è capitato poche volte di fare confusione su questo, e quando è successo ne abbiamo pagato le conseguenze. Ma ora quella frase la sto capendo sempre di più.

A proposito di cose che si capiscono man mano: non è che quest’anno sono accaduti fatti che non c’erano prima. L’ecumenismo, per dire, è stato sempre un tratto importante: l’anno scorso avevamo fatto la copertina sull’ortodosso Filaret che incontra il cardinale Erdö. Eppure la nostra coscienza è diversa. Ce ne accorgiamo di più. Perché?
Perché è più vicino il riconoscimento di Cristo. Uno dei volontari ci ha raccontato che era arrivato al Meeting con l’idea di lavorare all’ufficio stampa ed è finito alla sbarra d’ingresso del parcheggio. Una settimana lontano da mostre, incontri, padiglioni. Sai cosa ci ha detto? «Sono stato costretto a chiedermi per Chi lo faccio». Ecco, il punto è che quel «Chi» è più vicino nell’esperienza. All’inizio della settimana ho fatto un incontro proprio con i volontari. Mi accorgo adesso di aver detto cose diverse dal solito. Non ho fatto tutti i passaggi: dalla fede alla gratuità, al Meeting. Ho semplicemente detto loro cos’è il Meeting. E il motivo lo vedo ora: è più immediato in me il riconoscimento che nel gesto che facciamo è Cristo che accade. Io sono semplicemente chiamata a fare bene quello che mi tocca fare.

[...]
E il titolo del 2012? «La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito»: è una citazione del?Senso religioso, prima premessa. Perché sarà un passo avanti rispetto a questo percorso?
Credo che il punto sia la parola «natura». Vuol dire che la struttura dell’uomo è rapporto con l’infinito. È qualcosa di più anche rispetto al fatto che desidera l’infinito, come avevamo già detto nel 2010. Non solo cerca l’infinito nelle cose che fa, ma il suo essere è rapporto con l’infinito. È un passo da scoprire. Ma c’è tutto un anno per iniziare a farlo.

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