"Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto."

"Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto."
Edward Hopper Sole del mattino

sabato 19 novembre 2011

sulle tracce del volantino di Cl...

LA CRISI, SFIDA PER UN CAMBIAMENTO


«Una comunità cristiana autentica vive in costante rapporto con il resto degli uomini, di cui condivide totalmente i bisogni, ed insieme coi quali sente i problemi. Per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa, la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea ed un suo metodo d’affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata» (don Giussani).

Nella prospettiva delineata da don Giussani si colloca questo contributo di Comunione e Liberazione, che offriamo a tutti per un dialogo che favorisca una ripresa del nostro Paese.

La crisi è un dato
Che lo si voglia o no, la crisi esiste. E sta cambiando le condizioni di vita di milioni di persone, in molti  Paesi, di sicuro in Italia: aumentano i poveri, sempre più aziende chiudono, si rischia di essere tagliati fuori dallo sviluppo mondiale, declassati a Paese di serie B.
La crisi sta provocando reazioni diverse, spesso determinate dal prevalere di due tendenze contrapposte:
subirla, pensando di esorcizzarla e di superarla addossando le colpe su qualcuno (che sicuramente esiste e ha più responsabilità di altri). Ma così facendo, non si produce alcun cambiamento, se non quello di aumentare il lamento che può finire nella disperazione.
ignorarla, dopo averla provocata, continuando a comportarsi come se nulla fosse e soprattutto
senza mettersi minimamente in discussione.

La realtà è positiva perché mette in moto la persona
È irrazionale pensare che basti essere contro qualcuno per sconfiggere la crisi, peggio ancora è negarne l’esistenza. È il contrario di quella tradizione ebraico-cristiana per la quale la realtà è percepita come ultimamente positiva, anche quando mostra un volto negativo e contraddittorio.
La realtà, infatti, ci rimette continuamente in moto, provocandoci a prendere posizione di fronte a ciò che accade.
Questa consapevolezza ha costruito la storia millenaria dell’Occidente. E a dispetto di ogni dualismo o manicheismo − per cui il male è sempre da una parte e il bene sempre dall’altra −, ha permesso di costruire il futuro proprio accettando le sfide della realtà, rispondendo ad esse con intelligenza, creatività e capacità di sacrificio.

Come ha detto Benedetto XVI, «un progresso addizionabile è possibile solo in campo materiale. Nell’ambito invece della consapevolezza etica e della decisione morale non c’è una simile possibilità di addizione per il semplice motivo che la libertà dell’uomo è sempre nuova e deve sempre nuovamente prendere le sue decisioni. Non sono mai semplicemente già prese per noi da altri – in tal caso, infatti, non saremmo più liberi. La libertà presuppone che nelle decisioni fondamentali ogni uomo, ogni generazione sia un nuovo inizio» (Spe salvi, 24).
È questa la ragione per cui ancora il Papa, pur riconoscendo il disagio e il disorientamento che
spingono ciascuno a muoversi in maniera solitaria e a compiere scelte di vita sempre più fragili, non ha potuto evitare di lanciare un appello: «Cari giovani, non abbiate paura di affrontare queste sfide! Non perdete mai la speranza» (Ancona, 11 settembre 2011).

È un invito a guardare la crisi come opportunità: essa, infatti, costringe a rendersi conto del valore di cose a cui non si pensa finché non vengono meno: per esempio, la famiglia, l’educazione, il lavoro.

Del resto, di crisi l’Italia ne ha attraversate tante anche negli ultimi 150 anni, senza reagire con una difesa aprioristica del passato e nemmeno con chiusure preconcette, ma mettendo in gioco una capacità di un cambiamento che ha posto le premesse per un continuo inizio − tanto nuovo quanto imprevedibile − della convivenza sociale.
Allora la domanda da porsi riguarda il contenuto del cambiamento, che è frutto di una libertà in
azione.
In primo luogo, occorre essere leali e ammettere che le ideologie non pagano più, che lo statalismo fa sprofondare nei debiti e che la finanza non salva l’uomo e aumenta solo la folla degli indignados, segno di una esigenza tanto positiva (che, cioè, i desideri e i bisogni concreti delle persone non siano continuamente estromessi dal dibattito pubblico) quanto scomposta.
In secondo luogo, bisogna riconoscere che nella situazione attuale sono reperibili le tracce di un cambiamento positivo.

Alcuni esempi
Ci sono persone che non si lasciano trascinare dal flusso delle cose, ma remano controcorrente
anche a costo di sacrifici, e per questo sono riconoscibili. Proprio nel mezzo di una crisi tra le più gravi della nostra storia, esistono fatti virtuosi, segno di persone che si sono rimesse in azione senza aspettare che altri − sempre altri − risolvano i problemi. Non potendo cambiare tutto subito, hanno cominciato a cambiare loro. C’è gente che affronta la realtà senza preclusioni, e prova a darsi da fare senza rinnegare e dimenticare nulla.

Molte famiglie, che potrebbero sfaldarsi sotto l’urto delle difficoltà economiche, scoprono il valore del fare sacrifici, magari per garantire a tutti i costi l’educazione dei figli, fino al punto di accettare un regime di vita più sobrio; inoltre non smettono di tessere reti di solidarietà e, se possibile, di risparmio.
Nel campo della formazione professionale, segnato dal perdurare del clientelismo, nascono realtà che tornano a insegnare ai giovani un mestiere, mettendo di nuovo in contatto il mondo dell’impresa e quello della scuola.
Si incontrano sempre più spesso insegnanti che, in un mondo scolastico statalizzato e bu-  rocratizzato, immaginano metodi di insegnamento nuovi, individualmente o coinvolgendo i colleghi, anche pagando di tasca propria quell’aggiornamento professionale che nessuno assicura loro d’ufficio.
A dispetto delle enormi difficoltà a reperire fondi, continuano a nascere opere di solidarietà e di cooperazione; talune di quelle “storiche”, poi, si rinnovano invece di morire. E dilatano l’esperienza della condivisione gratuita del bisogno di milioni di persone, quel mare di carità che ha segnato la storia dell’Italia.
Ci sono imprese che, pur tra mille ostacoli che potrebbero indurre a chiudere, hanno accettato la sfida del cambiamento e stanno creando occupazione aumentando il fatturato, anche se non riescono da sole a sostenere la crescita dell’Italia.
Soprattutto in un panorama giovanile spesso sconfortante, ci sono molti giovani che non si accontentano di un futuro mediocre: per esempio, le università sono considerate un settore secondario della vita sociale, eppure molti studenti − a differenza del recente passato − non si accontentano più del pezzo di carta alla fine degli studi, ma imparano presto una lingua straniera, sono disponibili a trascorrere periodi all’estero, a fare stage, a studiare in modo adeguato; e trovano posti lusinghieri in aziende o atenei esteri.

I fattori di un possibile cambiamento
Che cosa accomuna tutti questi tentativi positivi?
La convinzione che la realtà, anche quando appare negativa e difficile − come vediamo oggi −, rimette in gioco la voglia di conoscere, di costruire, di impegnarsi, sebbene sia stata oscurata e mortificata da anni di omologazione del potere.
Allora la strada per attraversare − e per non subire da rassegnati − la crisi è vivere la realtà come una provocazione che ridesta il desiderio e la domanda che, per quanto riguarda l’Italia, significa anche ingegno, conoscenza, creatività, forza di aggregazione.
Questi tentativi mostrano la risposta all’unica domanda che nessuno sembra affrontare: da che
cosa può rinascere la crescita, da che cosa si può ricreare la ricchezza dell’Italia?
Da quell’imprevedibile istante in cui un uomo genera novità, prodotti, servizi, valore aggiunto, bellezza per sé e per gli altri, senza che nessun antecedente storico, sociale e politico possa ultimamente spiegare l’incremento di valore e di ricchezza che si genera.
Soprattutto nei momenti di crisi questo desiderio in azione è il più potente fattore che fa rinascere la certezza, come ha detto il presidente Napolitano al Meeting di Rimini: «Portate, nel tempo dell’incertezza, il vostro anelito di certezza», fino a riconoscere che chi accetta questa sfida è «una risorsa umana per il nostro Paese».

Dentro un popolo rinasce la speranza
Ma solo se sono collocati dentro un popolo il desiderio ridestato e i tentativi che nascono dalla persona hanno possibilità di durare. E il popolo è un mettersi insieme della gente non nella provvisorietà di un tornaconto, ma sostanzialmente. Non contro un nemico, ma per un bene desiderato e perseguito. Per questo la distruzione di un popolo − con tutta la sua ricchezza espressiva e associativa − è l’anticamera dell’uccisione del desiderio: infatti se i giovani non sono di fronte a una esperienza umana diversa, come possono percepire che il mondo può cambiare? E come può nascere in loro la speranza del futuro?

Il compito della politica
Le scelte politiche devono essere in funzione di chi si muove in questa direzione e non più a vantaggio di chi agisce per schieramenti di potere e promette di cambiare tutto perché nulla cambi. È l’esempio che ci viene dal discorso del Papa al Parlamento tedesco, che ha indicato che cosa deve essere importante per un politico: «Un cuore docile», che sappia «rendere giustizia al popolo» e «distinguere il bene dal male». E con questo ha messo nelle mani di tutti il criterio per giudicare l’operato di chi fa politica.
Questo spiega perché persone con ideologie diverse si possono incontrare persino in politica
(come accade nell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, che raduna parlamentari di tutti gli schieramenti e che ha prodotto leggi come quella sul 5 per mille a vantaggio delle realtà non profit), rinverdendo quella tradizione per cui le contrapposizioni pur dure non hanno impedito di collaborare alla costruzione del bene comune, specialmente nei momenti più drammatici della nostra storia.
Questi elementi possono orientare le scelte politiche in modo opportuno, come strumenti per un cambiamento che viene inevitabilmente dal basso. La prima politica, infatti, è sostenere chi costruisce un bene per tutti e cercare insieme risposte pratiche alle difficoltà e alle speranze di un popolo.
Così si può rilanciare lo sviluppo del Paese, scommettendo sugli «io» in azione − persone e comunità −, e riconoscendo il ruolo decisivo dell’educazione, dalla quale dipende il futuro di un popolo. E l’educazione non riguarda solo i giovani, ma tutti.

Ecco alcuni strumenti che possono favorire una ripresa:
difendere la vita in ogni suo momento e in tutti i suoi aspetti;
investire in un sistema dell’istruzione e formazione professionale fatto di scuole statali, libere
e paritarie, e di università competitive fra loro nella didattica e nella ricerca, valorizzando il merito degli studenti e dei professori fin dal reclutamento e negli avanzamenti di carriera;
offrire le necessarie opportunità ai giovani capaci e meritevoli, affinché l’Italia non diventi
un Paese per vecchi;
aiutare selettivamente le imprese che investono, creano occupazione ed esportano, eliminando
lacci, laccioli e aiuti clientelari che non producono alcuno sviluppo;
allearsi − nella direzione di un welfare sussidiario − con le famiglie, i portatori di risparmio,
di aiuto ai più deboli, di educazione; e ancora, collaborare con le miriadi di realtà sociali che
lavorano per il bene di tutto il popolo, secondo il principio di sussidiarietà;
difendere un ambiente degradato e distrutto dalle speculazioni di ogni genere;
favorire un federalismo fiscale che rinnovi la pubblica amministrazione, facendo pagare i
costi e gli sprechi a chi li provoca ed eliminando le sacche di clientelismo e di spreco.

È a livello di queste preoccupazioni che si colloca il contributo dei cattolici alla vita sociale, come afferma il cardinale Angelo Scola: «La vita del nostro popolo documenta anche l’esistenza di fatti e opere buone che dicono questa sovranità sul male dell’umana libertà quando si lascia cambiare dalla grazia di Cristo. Sono segni ragionevoli che la speranza, alimentata dalla fede e dalla carità, praticata nelle nostre comunità, è veramente affidabile» (Milano, 16 ottobre 2011). Lo ha sottolineato il cardinale Angelo Bagnasco: «I cristiani da sempre sono presenza viva nella storia, consapevoli che la fede in Cristo è un bene anche per la Città» (Todi, 17 ottobre 2011).

a cura di comunione e Liberazione OTTOBRE 2011

1 commento:

  1. tratto da Pigi Colognesi : il governo dei monaci dal sito ilsussidiario.net
    la crisi dell’impero romano. Cos’hanno fatto, allora, i cristiani? Rispondo con le parole di Alasdair MacIntyre: «Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’imperium romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale imperium. Il compito che invece si prefissero (spesso senza rendersi conto pienamente di ciò che stavano facendo) fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità. Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. E se la tradizione delle virtù è stata in grado di sopravvivere agli orrori dell’ultima età oscura, non siamo del tutto privi di fondamenti per la speranza. Questa volta però i barbari non aspettano al di là delle frontiere: ci hanno già governato per parecchio tempo. Ed è la nostra inconsapevolezza di questo fatto a costituire parte delle nostre difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso».

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