"Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto."

"Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto."
Edward Hopper Sole del mattino

martedì 22 novembre 2011

sulle tracce del Papa in Benin...dalla Sicilia al Benin, per un'amicizia

  la “Porta della Riconciliazione”
la "Porta del non ritorno”


 

Il Papa durante la visita in Benin

La lettera di don Carmelo dal Benin. Conosce a Palermo due sacerdoti africani. Con loro nasce una «amicizia cristiana profonda», così decide di accompagnarli nel loro Paese in occasione della visita del Papa. Da lì una serie di fatti «imprevisti»

per leggere la lettera http://www.tracce.it/default.asp?id=285&id_n=25622



Ho avuto la possibilità di andare in Benin in occasione della visita del Papa, grazie all’incontro con due sacerdoti presenti nella mia nuova parrocchia di Sant’Ernesto a Palermo, padre Lucien Tobouchiandou e padre Ives Hunlihou.
L’incontro è stato sorgente di un’amicizia cristiana profonda ed è stato anche occasione per conoscere il loro Vescovo, Eugene Cyrill Houndekon, della Diocesi d’Abomey.
Quest’ultimo ha suggerito a padre Lucien di approfondire l’esperienza di Comunione e Liberazione che aveva incontrato, come opportunità anche per la Chiesa del Benin.
Così ho desiderato conoscere la realtà del Paese di padre Lucien e gli ho proposto di accompagnarlo nella visita che aveva in programma per un breve periodo di riposo. Padre Lucien è stato molto contento di questa proposta e abbiamo programmato il viaggio in coincidenza con la visita del Papa. Da quel momento in poi, con mia sorpresa, sono accaduti una serie di fatti imprevisti.
Il primo è stato l’incontro al Meeting di Rimini con Jean Baptist, originario del Benin e che ora vive a Pesaro: un uomo che ha incontrato il movimento e ne è stato cambiato. E poi c’è stato quello con altri amici che operano in Benin con varie iniziative. Tutto accresceva l’interesse per questo viaggio. Anche gli amici del Centro Internazionale del movimento mi hanno incoraggiato a valorizzare questa opportunità. Così sono partito con padre Lucien e altri due amici di Palermo, Angelo e Dario, e ci siamo ritrovati in Benin con Jean Baptist.
A Cotonou attraverso l’incontro con Roberto, un giornalista alto-atesino, e i suoi amici, abbiamo conosciuto l'opera missionaria di Merano “Un pozzo per la vita”. Il fondatore, Alpidio Balbi, ci ha raccontato che questo era il suo centesimo viaggio in Benin e il quarantesimo anno di attività dell’opera missionaria da lui fondata. Con mio stupore il viaggio è diventato da subito un’esperienza di condivisione dei problemi emergenti nella vita quotidiana in Benin: la salute e il lavoro.
Il piccolo Stato dell’Africa occidentale è oggi una Repubblica Presidenziale, con una ricca storia prima come regno africano (Dahomey) e poi come colonia portoghese e francese. Dalle sue coste hanno preso la via dell’America centinaia di migliaia di schiavi. Una vicenda drammatica che è ricordata sulla spiaggia di Ouidah, dove l'Unesco ha costruito un monumento chiamato “La Porta del non ritorno”. Accanto ad esso la Chiesa cattolica, in occasione del Giubileo del 2000, ha eretto un altro memoriale: “La Porta della Redenzione". Per ricordare che dalle stesse spiagge, dopo il dramma della schiavitù, questo popolo ha conosciuto la Fede in Gesù attraverso i missionari. Il Paese, oggi, gode di stabilità politica pur in una situazione economica e infrastrutturale ancora fragile.
La visita di Benedetto XVI, dal tema “Riconciliazione, Giustizia e Pace”, ha avuto un’importanza storica per l’intero continente in quanto ha coinciso con la consegna della Esortazione Apostolica, scritta dopo il sinodo dei vescovi africani del 2009. Oggi la Chiesa d’Africa affronta la sfida delle forme tradizionali di religiosità come il Vodoo, che in Benin ha una dignità riconosciuta dallo Stato e a cui il calendario dedica addirittura un giorno di festa. Ma affronta anche la sfida delle sette che si diffondono favorite dalla naturale sensibilità religiosa del popolo africano. Inoltre anche qui è forte la presenza del relativismo, che diventa mentalità comune insieme alle nuove abitudini di vita portate dalla tecnologia e dalle mode occidentali. Nel discorso al presidente Boni Yayi, il Papa è andato anche oltre l’esortazione ai suoi vescovi ponendo questa domanda: «Perchè un Paese africano non potrebbe indicare al resto del mondo la strada da prendere per vivere una fraternità autentica fondandosi sulla grandezza della famiglia e del lavoro?». Questo sguardo valorizzatore di Benedetto XVI ci ha sostenuto, in quei giorni, nel conoscere diverse realtà sociali, cristiane e non. E al termine del viaggio io e i miei amici ci siamo ritrovati immersi in una rete di rapporti che continua a chiedere con insistenza tutta la nostra fedeltà.




AKLUNƆ NI KƆN FƐNU TƆN LƐ DO MI JI
[Il Signore vi ricolmi delle sue grazie!]


                    

Il Papa incontra i i membri del governo,  i rappresentanti delle istituzioni della repubblica,
il corpo diplomatico e i rappresentanti delle principali religioni Palazzo Presidenziale di Cotonou Sabato, 19 novembre 2011

           

DOO NUMI! [saluto solenne in lingua fon]

[…] Quando dico che l’Africa è il continente della speranza, non faccio della facile retorica, ma esprimo molto semplicemente una convinzione personale, che è anche quella della Chiesa. Troppo spesso il nostro spirito si ferma a pregiudizi o ad immagini che danno della realtà africana una visione negativa, frutto di un’analisi pessimista. Si è sempre tentati di sottolineare ciò che non va; meglio ancora, è facile assumere il tono sentenzioso del moralizzatore o dell’esperto, che impone le sue conclusioni e propone, in fin dei conti, poche soluzioni appropriate. Si è anche tentati di analizzare le realtà africane alla maniera di un etnologo curioso o come chi non vede in esse che un’enorme riserva energetica, minerale, agricola ed umana facilmente sfruttabile per interessi spesso poco nobili. Queste sono visioni riduttive e irrispettose, che portano ad una cosificazione poco dignitosa dell’Africa e dei suoi abitanti.
Sono consapevole che le parole non hanno dovunque il medesimo significato. Ma, quella di speranza varia poco secondo le culture. Alcuni anni fa, ho dedicato una Lettera enciclica alla speranza cristiana. Parlare della speranza, significa parlare del futuro, e dunque di Dio! Il futuro si radica nel passato e nel presente. Il passato, noi lo conosciamo bene, addolorati per i suoi fallimenti e lieti per le sue realizzazioni positive. Il presente, lo viviamo come possiamo. Al meglio, spero, e con l’aiuto di Dio! E’ su questo terreno composto da molteplici elementi contradditori e complementari che si tratta di costruire, con l’aiuto di Dio.

per leggere i vari discorsi per intero
[…]

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/travels/2011/index_benin_it.htm
La Chiesa non offre alcuna soluzione tecnica e non impone alcuna soluzione politica. Essa ripete: non abbiate paura! L’umanità non è sola davanti alle sfide del mondo. Dio è presente. E’ questo un messaggio di speranza, una speranza generatrice di energia, che stimola l’intelligenza e conferisce alla volontà tutto il suo dinamismo. Un Arcivescovo di Toulouse, il Cardinale Saliège, diceva: “Sperare, non è abbandonare; è raddoppiare l’attività”. La Chiesa accompagna lo Stato nella sua missione; vuole essere come l’anima di questo corpo indicando infaticabilmente l’essenziale: Dio e l’uomo. Essa desidera compiere, apertamente e senza paura, questo immenso compito di colei che educa e cura, e soprattutto che prega continuamente (cfr Lc 18,1), che indica dove è Dio (cfr Mt 6,21) e dov’è il vero uomo (cfr Mt 20,26 e Gv 19,5). La disperazione è individualista. La speranza è comunione. Non è questa una via splendida che ci è proposta? Invito ad essa tutti i responsabili politici, economici, così come il mondo universitario e quello della cultura. Siate, anche voi, seminatori di speranza!
Vorrei ora affrontare il secondo punto, quello del dialogo,interreligioso. […] Non posso conoscere l’altro se non conosco me stesso. Non posso amarlo se non amo me stesso (cfr Mt 22,39). La conoscenza, l’approfondimento e la pratica della propria religione sono dunque essenziali al vero dialogo interreligioso. Questo non può cominciare che con la preghiera personale e sincera di colui che desidera dialogare. Che egli si ritiri nel segreto della sua camera interiore (cfr Mt 6,6) per domandare a Dio la purificazione del ragionamento e la benedizione per il desiderato incontro. Questa preghiera chiede anche a Dio il dono di vedere nell’altro un fratello da amare, e nella tradizione che egli vive un riflesso della verità che illumina tutti gli uomini (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Nostra aetate, 2). Conviene dunque che ognuno si ponga in verità davanti a Dio e davanti all’altro. Questa verità non esclude, e non è una confusione. Il dialogo interreligioso mal compreso porta alla confusione o al sincretismo. Non è questo il dialogo che si cerca.
[…]
Avere speranza non significa essere ingenui, ma compiere un atto di fede in Dio, Signore del tempo, Signore anche del nostro futuro. La Chiesa cattolica attua così una delle intuizioni del Concilio Vaticano II, quella di favorire le relazioni amichevoli tra essa e i membri di religioni non cristiane. Da decenni, il Pontificio Consiglio che ne ha la gestione, tesse legami, moltiplica gli incontri, e pubblica regolarmente documenti per favorire tale dialogo. La Chiesa tenta così di porre rimedio alla confusione delle lingue e alla dispersione dei cuori nate dal peccato di Babele (cfr Gen 11). […]

La vera fede conduce invariabilmente all’amore. E’ in questo spirito che vi invito tutti alla speranza.
[…]
Per finire, vorrei utilizzare l’immagine della mano. La compongono cinque dita, diverse tra loro. Ognuna di esse però è essenziale e la loro unità forma la mano. La buona intesa tra le culture, la considerazione non accondiscendente delle une per le altre e il rispetto dei diritti di ciascuno sono un dovere vitale. Occorre insegnarlo a tutti i fedeli delle diverse religioni. L’odio è una sconfitta, l’indifferenza un vicolo cieco, e il dialogo un’apertura! Non è questo un buon terreno in cui saranno seminati dei semi di speranza? Tendere la mano significa sperare per arrivare, in un secondo tempo, ad amare. Cosa c’è di più bello di una mano tesa? Essa è stata voluta da Dio per donare e ricevere. Dio non ha voluto che essa uccida (cfr Gen 4,1ss) o che faccia soffrire, ma che curi e aiuti a vivere. Accanto al cuore e all’intelligenza, la mano può diventare, anch’essa, uno strumento di dialogo. Essa può fare fiorire la speranza, soprattutto quando l’intelligenza balbetta e il cuore inciampa.
Secondo le Sacre Scritture, tre simboli descrivono la speranza per il cristiano: l’elmo, perché protegge dallo scoraggiamento (1 Ts 5,8), l’ancora sicura e salda che fissa in Dio (Eb 6,19) e la lampada che permette di attendere l’aurora di un nuovo giorno (Lc 12,35-36). Avere paura, dubitare e temere, porsi nel presente senza Dio, o non avere nulla da attendere, sono atteggiamenti estranei alla fede cristiana (S. Giovanni Crisostomo) e, credo, ad ogni altra credenza in Dio. La fede vive il presente, ma attende i beni futuri. Dio è nel nostro presente, ma è anche nel futuro, “luogo” della speranza. La dilatazione del cuore è non soltanto la speranza in Dio, ma anche l’apertura alla cura delle realtà corporali e temporali per glorificare Dio. Seguendo Pietro, di cui sono il successore, auguro che la vostra fede e la vostra speranza siano in Dio (1 Pt 1,21). E’ questo l’augurio che formulo per l’Africa intera, che mi è tanto cara! Abbi fiducia, Africa, ed alzati! Il Signore ti chiama. Dio vi benedica. Grazie.

 Il Papa incontra i sacerdoti, i seminaristi, i religiosi, le religiose e fedeli laici
Cortile del Seminario S. Gall  - Ouidah  Sabato, 19 novembre 2011
cari seminaristi e cari fedeli laici! 

[…] Quanto a voi, cari fedeli laici che, al cuore delle realtà quotidiane della vita, siete chiamati ad essere il sale della terra e la luce del mondo, vi esorto a rinnovare voi pure il vostro impegno per la giustizia, la pace e la riconciliazione. Questa missione richiede anzitutto fede nella famiglia edificata secondo il disegno di Dio e fedeltà all’essenza stessa del matrimonio cristiano. Esige anche che le vostre famiglie siano come autentiche “chiese domestiche”. Grazie alla forza della preghiera, “si trasforma e migliora gradualmente la vita personale e familiare, si arricchisce il dialogo, si trasmette la fede ai figli, si accresce il piacere di stare insieme e il focolare domestico si unisce e si consolida maggiormente” (Messaggio per l’incontro mondiale delle famiglie in Messico, 17 gennaio 2009, n. 3). Facendo regnare nelle vostre famiglie l’amore e il perdono, contribuirete all’edificazione di una Chiesa bella e forte, e all’instaurarsi di maggior giustizia e pace nella società intera. In questo senso, vi incoraggio, cari genitori, ad avere un rispetto profondo per la vita e a testimoniare davanti ai vostri figli i valori umani e spirituali. […]
Per concludere il mio incontro con voi, vorrei esortarvi tutti ad una fede autentica e viva, fondamento incrollabile di una vita cristiana santa e al servizio dell’edificazione di un mondo nuovo. L’amore per il Dio rivelato e per la sua Parola, l’amore per i Sacramenti e per la Chiesa, sono un antidoto efficace contro i sincretismi che sviano. Questo amore favorisce una giusta integrazione dei valori autentici delle culture nella fede cristiana. Esso libera dall’occultismo e vince gli spiriti malefici, perché è mosso dalla potenza stessa della Santa Trinità. Vissuto profondamente, questo amore è anche un fermento di comunione che infrange ogni barriera, favorendo così l’edificazione di una Chiesa nella quale non vi è segregazione tra i battezzati, perché tutti non sono che uno in Cristo Gesù (Gal 3,28). Con grande fiducia conto su ciascuno di voi, sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi e fedeli laici, per far vivere una Chiesa così. In pegno della mia vicinanza spirituale e paterna, e affidandovi alla Vergine Maria, invoco su tutti voi, sulle vostre famiglie, sui giovani e i malati, l’abbondanza delle benedizioni divine!

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