Don Carmelo Vicari, parroco a Palermo, conosce due sacerdoti beninesi in Italia. Il vescovo africano lo invita in occasione del viaggio del Papa. Il sacerdote spiega a Tempi.it la rivelazione e l’incredibile maturità di una piccola Chiesa africana: «Benedetto XVI vede in loro una speranza anche per l’Occidente»
intervista di Benedetta Frigerio

per leggere l' intervista http://www.tempi.it/chi-l-avrebbe-detto-dobbiamo-imparare-dalla-chiesa-del-benin
Poi l’invito del vescovo ad approfittare del viaggio del Papa per visitare il Benin, dove don Carmelo scopre «quanto non avrei mai immaginato: non una Chiesa tribale, ma molto matura». Come mai Benedetto XVI abbia scelto proprio quel piccolo Stato africano il sacerdote palermitano lo spiega così: «Ho visto un paese entusiasta nell'attesa della visita del Papa. E molto coinvolto. Un popolo con una grande dignità, che vive con speranza la prospettiva ecclesiastica e politica. Il Benin è piccolo, ma il Papa lo ha scelto per tre motivi: la ricorrenza dei 150 anni di evangelizzazione del paese. La visita al suo grande amico, il defunto cardinal Bernarden, incardinato insieme a Lui, che ha contribuito alla creazione della democrazia e a far conoscere la Chiesa africana al Pontefice e a Roma. Inifne, la consegna ai vescovi dell'esortazione post sinodale». Colpisce che il Papa abbia fatto alle istituzioni e alla Chiesa la stessa richiesta: li ha spronati a farsi carico delle istanze sociali e di libertà sorte nel continente. «Il Santo Padre nelle esortazioni sui problemi dell'Africa ha parlato delle rivolte nordafricane come positive, chiedendo alla Chiesa d'Africa di farsi carico di questa sfida, compresi tutti i problemi sociali, politici, economici e religiosi del paese, perché ormai la ritiene matura e in grado di sobbarcarsi tutte queste sfide».
Il Papa ha poi valorizzato più volte la religiosità africana. Non c'è il rischio che resti un sentimento superficiale? «Sicuramente c'è il pericolo della superficialità e quindi della commistione con i riti Vudù e le sette religiose. La Chiesa non deve spaventarsi, ma discernere e cogliere i lati positivi» continua don Carmelo. «Inoltre, questo rischio sta scemando sempre più. E il Papa lo ha intuito. Perciò, venendo ha sottolineato e ripetuto in ogni suo discorso il compito dell'evangelizzazione». Da quanto si è visto, balli, canti e Chiese piene di giovani e bambini, si intuisce che questo popolo, oltre ad essere religioso, non si nasconde. «Sicuramente non ha paura di vivere pubblicamente la dimensione spirituale, che esterna in ogni modo. Credo che il Pontefice veda in questo la speranza per la sua maggior preoccupazione: l'evangelizzazione, anche occidentale». Per questo il Papa ha sfidato questo paese ad aprirsi al mondo intero. «Ripeto: il risveglio dell'esigenza di trascendenza è la vera sfida per una nuova evangelizzazione. Io sono venuto qui e capisco che ho molto da imparare da queste persone. Il nostro contributo, invece, è quello di aiutare l'Africa nel suo cammino di maturità della fede, come consapevolezza e ragionevolezza. Come apertura culturale, passione per l'uomo e coscienza di sé. Ma l'opera educativa è urgente per l'Africa come per l'Occidente». Per questo il Papa ha esortato i giovani ad annunciare il Vangelo, senza avere paura della tanta «resistenza anche tra i battezzati che non conoscono più Cristo».
Ma ha poi indicato come unica strada per far conoscere Cristo quella di vivere in rapporto alla sua persona viva, ricordando innanzitutto che «il Suo Regno può essere messo in pericolo nel nostro cuore». Qui, ha detto il Santo Padre, «Dio si incontra con la nostra libertà. Noi – e soltanto noi – possiamo impedirgli di regnare su noi stessi e, di conseguenza, rendere difficile la sua signoria sulla famiglia, sulla società e sulla storia». Lo spettacolo della Messa a Contou, per don Carmelo «è stato impressionante. Il popolo si è reso protagonista, togliendo subito il palcoscenico alle autorità. Non c'è stata nessuna difficoltà nel partecipare alla funzione. Per i beninesi è naturale il coinvolgimento partecipato alla liturgia. Cantano con grande ordine e preparazione. Diciamo che si vede un cuore che palpita di fede, utile ai nostri cuori più freddi. Impressiona la facilità nel vivere la fede senza rigidità: lo si vede nei bambini, nei giovani e nei vecchi. Quel che io sento ancora artificioso, per loro è naturale. Mi sono meravigliato in questi giorni delle cattedrali con Messe piene di persone gioiose e in canto».
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