«L'arte, inclusa la letteratura, è l'unica manifestazione umana, l'unico tipo di conoscenza in grado di comunicarci un'esperienza in assenza di tale esperienza».
Tat'jana KasatkinaNelle sue conversazioni con Luca Doninelli, Giovanni Testori a un certo punto afferma:
“Non voglio dire che l’artista moderno non abbia dimenticato Dio. C’è chi l’ha dimenticato, chi non l’ha dimenticato, chi si dice ateo, chi no. Quello che voglio dire è che l’artista moderno non è riuscito a togliersi dai piedi Gesù Cristo”.
Congdon, «l’arte è una finestra sulla vita e oltre la morte»,
Pasternak ha una visione della verità e della vita secondo cui proprio l’arte come particolare genere di conoscenza - e l’immagine come principale strumento di questa conoscenza-assimilazione («mia sorella la vita») - riescono ad esprimere più da vicino e con maggiore esattezza di tutti i concetti e sistemi di concetti il nocciolo della questione, l’essenza della vita e l’essenza della verità. «Nell’arte l’uomo tace, comincia a parlare l’immagine. Soltanto l’immagine può, quindi, tener dietro ai progressi della natura» (Il salvacondotto). In particolare, la continua disputa di Pasternak (espressa nelle righe citate e in molte altre), contro le pretese della piatta e rigida «coerenza», della causalità, dei «principi» e dell’«attivismo», a favore del «gratuito», del «fuori luogo», dell’«indeterminato», accidentale,«passivo», non nasce da un gusto anarchico da bohémien, da un incitamento al«caos artistico», ma al contrario è un lavoro sui significati, un lavoro per riportare i concetti alla verità. Proprio questo modo duttile ed elastico, lungimirante di comprendere le cose risponde secondo Pasternak all’essenza della vita e della verità. Perché? Forse perché la vita e la verità sono «irrazionali»? No: perché sono dei soggetti. Noi non possiamo discettarne come se fossero oggetti inanimati. Esse hanno una propria libertà e volontà creativa. Non possiamo disporre di esse (neppure nella nostra mente, ad esempio pensare che una cosa avviene per il tal motivo; che a una certa cosa debba conseguirne un’altra ecc.).
L’uomo (l’artista, ma per Pasternak sono quasi la stessa cosa: l’artista - dice infatti -risponde della «perpetuazione dell’immagine della specie»; «… proprio in veste di verità lirica l’umanità si evolve attraverso le generazioni») cade tra le braccia della vita, tra le braccia della verità, diventandone un’«opera creata» («Oh, com’è bello non comporre romanzi e non scrivere versi, ma diventare noi stessi un’opera creata, nelle mani di questo sentimento mortalmente dolce…». Dagli abbozzi e piani in brutta, p. 1528), riconoscendosi come un «dono», un’«opera» del Creatore:
Nell’arte egli vede un servizio all’immortalità, un lavoro per superare la morte, uno «sforzo
di resurrezione». «L’arte è sempre e senza tregua dominata da due cose. Essa rifletteinstancabilmente sulla morte e crea così, instancabilmente, la vita. La grande, la vera arte
è quella che si chiama [Rivelazione] Apocalisse di san Giovanni e quella che vi aggiunge
qualcosa» (pp. 117-118). «Ce ne sono al mondo di cose che meritino fedeltà? Ben poche. Io penso che si debba essere fedeli all’immortalità, quest’altro nome della vita, un po’ più forte. Essere fedeli all’immortalità, fedeli a Cristo!»
Luca Fiore
Il caso della Sagrada Familia è certamente un caso a sé. Gaudì era uno dei più grandi architetti del mondo e contemporaneamente un santo. La grandezza della sua opera non dipende in modo meccanico dalla sua santità, ma non sarebbe spiegabile senza di essa. Ma che santità e genio artistico vadano di pari passo è un fenomeno auspicabile ma che capita come capitano i miracoli: inaspettato e gratuito.
La santità dell’architetto – o più semplicemente il suo essere un buon cristiano – purtroppo non può garantire la bontà del risultato, tanto è vero che molti “garage” di cui parla Tornielli probabilmente sono stati realizzati da architetti cristiani.
È giusto dunque segnalare
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